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Intreccio

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Körbe sind auf dem gesamten Gebiet Sardiniens weit verbreitet. Was sich von Gebiet zu Gebiet ändert, ist das verwendete Material. Von bestimmten Straßenhändlern („Corbulai“) zu Pferd transportiert, fehlte ihnen kein Zuhause.
Wenn die inneren und hügeligen Gebiete der Insel als Rohmaterial für den Bau Asphodelstiele (Ollolai, Olzai, Flussio, Montresta, Sennori), die der Ebene, in der Nähe von Teichen oder dem Meer (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo) verwendet wurden, verwendeten sie Schilf, Weizen oder Zwergpalmen. Die vielfältige und raffinierte Fallgeschichte der Strohkörbe, die ausschließlich für den Hausgebrauch bestimmt sind, wird auch von der des Fassartefakts („Pischedda“) begleitet, das auch außerhalb des Hauses verwendet wird, da es widerstandsfähiger und mit einem Griff ausgestattet ist und sich daher besser an unterschiedliche Belastungen anpassen lässt. Der Asphodel- oder Schilfkorb ist in seiner Technik den in vielen anderen Teilen der Welt hergestellten Produkten nicht unähnlich. Er wurde durch spiralförmige konzentrische Kreise nach der Methode des „kontinuierlichen Wachstums“ geschaffen und entwickelt. Die Spirale besteht aus einem Bündel steiferer Materie, das mit Hilfe von Wasser und einem Stechinstrument (beim Asphodel wird der scharfe Hühnerschenkel verwendet) durch spiralförmige Spitzen gestoppt wird, die das Füllbündel umgeben und es auch an der vorherigen Runde verankern.

Bevor mit der eigentlichen Konstruktion des Korbes begonnen wird, müssen die vorbereitenden Schritte erledigt werden: Sammeln, Zerkleinern des Materials in dünne Lamellen und Trocknen in der Sonne. Natürliche Wärme, der der Korb auch nach dem Bau ausgesetzt werden muss. Die Erntezeit der Pflanzen ist wichtig, sie ist zu bestimmten Zeiten des Jahres vorgesehen und wird durch Lunationen reguliert, was den Befall von Insekten oder Schimmelpilzen, die der Konservierung dieser Essenzen feindlich sind, entgegensteht. Die häufigsten Arten bestehen aus der Corbula („colve, colvula, crobi“), einem mehr oder weniger tiefen konkaven Korb (in neueren Fällen auch mit einem Deckel) und dem niedrigen und breiten Korb („canistedda“) mit variabler Größe, von sehr groß (sogar größer als ein Meter) über mittel bis klein oder sehr klein. Für die kampidanesische Braut waren sowohl die Mitgift im Geschirr ('strexiu 'e terra') als auch das Set aus Corbule, Körben und Crivelli ('strexiu 'e fenu') zum Backen gleichermaßen notwendig. Im Campidano-Haus, das mit einem Innenhof („Lolla“) ausgestattet war, befand sich ein kleiner, hoher und schmaler Raum, der als besonderer Unterschlupf für diese unverzichtbaren Werkzeuge diente.

Das bescheidenere Haus der Barbaren, das eher von pastoralen als von frumentären Rhythmen geprägt war, verfügte nicht über eine spezielle Umgebung für die Aufbewahrung dieser Behälter. Mit dem Aufkommen der Touristen wurde der Korb auch mit Dekorationen bereichert. Im Landesinneren Sardiniens, wo alles morphologisch strenger ist und Weiß/Schwarz der Farbe vorgezogen wird, trugen die Körbe keine Dekoration, im Gegensatz zu ihren Pendants auf dem Campidano, wo andererseits, insbesondere bei festlichen Anlässen, Einsätze aus Wolle, Baumwolle oder oft kostbaren Stoffen in verschiedenen Farbtönen angebracht sind. Der Korb bietet sich aufgrund seiner natürlichen Anpassungsfähigkeit für eine Refunktionalisierung an. In den 1950er Jahren schlug Eugenio Tavolara eine Serie vor, in der Formen aus der Goldschmiedekunst wiedergefunden wurden; eine davon war vor allem als „Zeitungsständer“ sehr erfolgreich.

Heute werden Korben und Körbe immer noch hergestellt, aber ihre Verarbeitung, die sehr dick ist (auf diese Weise wurde die Kostensenkung durch die Verkürzung der Bauzeiten gelöst), verrät, dass es in erster Linie darum geht, eine geringe touristische Nachfrage zu befriedigen. Eine interessante Tatsache: In Cagliari gab es Ende des neunzehnten Jahrhunderts und noch zu Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts „is piccioccus de crobi“, Straßenkinder, die, mit Corbula ausgestattet, schnelle und begrenzte Transporte, insbesondere von Lebensmitteln, durchführten

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Una diffusione capillare dei cesti è riscontrabile su tutto il territorio della Sardegna. Ciò che cambia da zona a zona è il materiale impiegato.Una diffusione capillare dei cesti è riscontrabile su tutto il territorio della Sardegna. Ciò che cambia da zona a zona è il materiale impiegato. Trasportati a cavallo da specifici venditori ambulanti ("corbulai"), essi non mancavano in nessuna abitazione. Se le aree interne e collinari dell'isola ricorrevano, quale materia prima nella realizzazione, al gambo dell'asfodelo (Ollolai, Olzai, Flussio, Montresta, Sennori), quelle di pianura, prossime agli stagni o al mare (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo), facevano uso di giunco, grano o palma nana. Alla diversificata e raffinata casistica dei cesti in "paglia", di esclusivo uso domestico, si affianca inoltre quella del manufatto in canna ("pischedda"), impiegato anche nell'ambito esterno alla casa in quanto più resistente e dotato di manico, quindi più adattabile alle diverse sollecitazioni. Non dissimile nella tecnica da quelli realizzati in moltissime altre parti del globo, il cesto in asfodelo o giunco nasce e si sviluppa per cerchi concentrici spiratati, secondo il metodo "a crescita continua". La spirale è costruita con un fascio di materia più rigida che, mediante l'ausilio dell'acqua e di uno strumento perforante (nel caso dell'asfodelo si ricorre allo stinco di pollo appuntito), è fermato da punti a loro volta spiraliformi che avvolgono il fascio di riempimento, ancorandolo anche al giro precedente. Prima di arrivare alla costruzione vera e propria del cesto, è necessario provvedere alle fasi propedeutiche: raccolta, riduzione in sottili lamelle del materiale e sua essiccazione al sole. Calore naturale al quale, anche a realizzazione avvenuta, il cesto deve essere sottoposto. Importante il momento della raccolta delle piante, consentita in particolari momenti dell'anno e regolata dalle lunazioni, pena l'attacco degli insetti o della muffa, nemici nella conservazione di quelle essenze. I tipi più diffusi sono costituiti dalla corbula ("colve, colvula, crobi"), cesto concavo più o meno profondo (nei casi recenti comprensivo anche di coperchio) e dal canestro ("canistedda") basso e largo con dimensione variabile, da grandissima (anche superiore a un metro) a media, a piccola o piccolissima. Per la sposa campidanese erano ugualmente necessarie sia la dote in stoviglie ("strexiu 'e terra"), sia il corredo in corbule, canestri e crivelli ("strexiu 'e fenu") per la panificazione. Nella casa del Campidano, dotata di patio interno ("lolla"), un piccolo ambiente, alto e stretto, costituiva l'apposito ricovero di questi indispensabili strumenti. La più modesta abitazione barbaricina, scandita dai ritmi pastorali più che da quelli frumentari, non aveva un ambiente specializzato per la conservazione di questi recipienti. Con l'avvento turistico il cesto si è anche arricchito di decori. Nella Sardegna interna, dove tutto è morfologicamente più severo e si privilegia il bianco/nero al colore, i cesti non recavano decoro alcuno a differenza dei loro simili del Campidano che, invece, soprattutto quelli per le occasioni festive, mostrano inserti realizzati con lane, cotoni o tessuti, spesso pregiati, di varie tonalità. Il cesto, per la sua naturale adattabilità, si presta a essere rifunzionalizzato. Eugenio Tavolara negli anni cinquanta ne propose una serie nella quale si recuperavano forme tratte dall'oreficeria; una in particolare ottiene grande successo come "portariviste". Oggi si producono ancora corbule e canestri ma la loro fattura, assai grossolana negli spessori (si è in tal modo risolto l'abbattimento dei costi nella riduzione dei tempi di realizzazione), tradisce l'esigenza primaria di soddisfare una richiesta turistica poco esigente. Una curiosità: a Cagliari, sul finire dell'Ottocento e ancora nei primi del Novecento, esistevano "is piccioccus de crobi", i ragazzini da strada che, dotati di corbula, eseguivano veloci e limitati trasporti specie di derrate alimentari.

Lesen Sie alles Lesen Sie alles Una diffusione capillare dei cesti è riscontrabile su tutto il territorio della Sardegna. Ciò che cambia da zona a zona è il materiale impiegato.Una diffusione capillare dei cesti è riscontrabile su tutto il territorio della Sardegna. Ciò che cambia da zona a zona è il materiale impiegato. Trasportati a cavallo da specifici venditori ambulanti ("corbulai"), essi non mancavano in nessuna abitazione. Se le aree interne e collinari dell'isola ricorrevano, quale materia prima nella realizzazione, al gambo dell'asfodelo (Ollolai, Olzai, Flussio, Montresta, Sennori), quelle di pianura, prossime agli stagni o al mare (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo), facevano uso di giunco, grano o palma nana. Alla diversificata e raffinata casistica dei cesti in "paglia", di esclusivo uso domestico, si affianca inoltre quella del manufatto in canna ("pischedda"), impiegato anche nell'ambito esterno alla casa in quanto più resistente e dotato di manico, quindi più adattabile alle diverse sollecitazioni. Non dissimile nella tecnica da quelli realizzati in moltissime altre parti del globo, il cesto in asfodelo o giunco nasce e si sviluppa per cerchi concentrici spiratati, secondo il metodo "a crescita continua". La spirale è costruita con un fascio di materia più rigida che, mediante l'ausilio dell'acqua e di uno strumento perforante (nel caso dell'asfodelo si ricorre allo stinco di pollo appuntito), è fermato da punti a loro volta spiraliformi che avvolgono il fascio di riempimento, ancorandolo anche al giro precedente. Prima di arrivare alla costruzione vera e propria del cesto, è necessario provvedere alle fasi propedeutiche: raccolta, riduzione in sottili lamelle del materiale e sua essiccazione al sole. Calore naturale al quale, anche a realizzazione avvenuta, il cesto deve essere sottoposto. Importante il momento della raccolta delle piante, consentita in particolari momenti dell'anno e regolata dalle lunazioni, pena l'attacco degli insetti o della muffa, nemici nella conservazione di quelle essenze. I tipi più diffusi sono costituiti dalla corbula ("colve, colvula, crobi"), cesto concavo più o meno profondo (nei casi recenti comprensivo anche di coperchio) e dal canestro ("canistedda") basso e largo con dimensione variabile, da grandissima (anche superiore a un metro) a media, a piccola o piccolissima. Per la sposa campidanese erano ugualmente necessarie sia la dote in stoviglie ("strexiu 'e terra"), sia il corredo in corbule, canestri e crivelli ("strexiu 'e fenu") per la panificazione. Nella casa del Campidano, dotata di patio interno ("lolla"), un piccolo ambiente, alto e stretto, costituiva l'apposito ricovero di questi indispensabili strumenti. La più modesta abitazione barbaricina, scandita dai ritmi pastorali più che da quelli frumentari, non aveva un ambiente specializzato per la conservazione di questi recipienti. Con l'avvento turistico il cesto si è anche arricchito di decori. Nella Sardegna interna, dove tutto è morfologicamente più severo e si privilegia il bianco/nero al colore, i cesti non recavano decoro alcuno a differenza dei loro simili del Campidano che, invece, soprattutto quelli per le occasioni festive, mostrano inserti realizzati con lane, cotoni o tessuti, spesso pregiati, di varie tonalità. Il cesto, per la sua naturale adattabilità, si presta a essere rifunzionalizzato. Eugenio Tavolara negli anni cinquanta ne propose una serie nella quale si recuperavano forme tratte dall'oreficeria; una in particolare ottiene grande successo come "portariviste". Oggi si producono ancora corbule e canestri ma la loro fattura, assai grossolana negli spessori (si è in tal modo risolto l'abbattimento dei costi nella riduzione dei tempi di realizzazione), tradisce l'esigenza primaria di soddisfare una richiesta turistica poco esigente. Una curiosità: a Cagliari, sul finire dell'Ottocento e ancora nei primi del Novecento, esistevano "is piccioccus de crobi", i ragazzini da strada che, dotati di corbula, eseguivano veloci e limitati trasporti specie di derrate alimentari.

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