Despite being strongly Iberized, the ceremonies of the Easter cycle have great charm and attractiveness. The ceremonies of Holy Week, being liturgical and paraliturgical festivals, are characterized by sacred performances that in many cities and towns are punctuated by the multivocal nature of brotherly songs and processions, almost as if to replace the participatory chorality that in most Sardinian festivities is given by dance.
The Sardinian festivities, mostly religious and traditional festivals, take place mainly between May and September. They become more numerous as we get closer to this last month. In May/June, the pastoral year came to an end (return from transhumance, shearing, sale of cheese, collection of the main food supplies).
In July (“triulas”) wheat was harvested and stored (“s'incunza de su trigu”), which, together with the harvest of fava beans, beans and must (“incunza de sa fae, de su 'asolu and de su mustu”) and companionatico (“s'aunzu”), obtained mostly from fattening pork ('mannal') and cheese, were the basic and daily food. The agro-pastoral year cycle resumed in September (“Capudanni”).
In addition to the greater availability of time, there was more availability of food and money, put back, in part, into circulation through various forms of hospitality to the participants in the parties, not surprisingly numerous over this period of time.
There we find, among others, the feast of Saint Isidore, venerated by the peasants but also by the shepherds, the feast of Saint Constantine, venerated above all by the shepherds, and the feast of Saint John, on the anniversary of which the accounts of the agrarian and pastoral contracts were closed.
But above all, it was the time for “long parties”, with a novendial stay at a country sanctuary where almost everything, from fun to sleep, was socialized. A custom and ceremonial manner that seems to refer to prehistoric incubation rites at the tombs of the giants and to the ordeal that is presumed to have been practiced in the vicinity of the sacred wells of the Nuragic period.
Nel 1869 lo stato di crisi endemica della Sardegna giunge sui tavoli dei deputati al Parlamento, che decidono di nominare una Commissione d'inchiesta per valutare la situazione e porvi rimedio. Ne fanno parte Quintino Sella - in qualità di Ministro delle finanze - e Paolo Mantegazza. Nato a Monza nel 1831, il Mantegazza è un medico molto dotto, esperto di antropologia e amante delle lettere, appassionato viaggiatore e già autore di alcuni libri.Forse perché già scrittore e viaggiatore, egli ricava dalla sua esperienza isolana un libro, piccolo ma scorrevole, "uno scritterello tirato giù alla buona, più col cuore che con la squadra", intitolato "Profili e paesaggi della Sardegna", uscito a Milano nel 1869. Si tratta di un racconto lungo, inizialmente pensato come articolo a puntate per una rivista, poi edito dal milanese Brugola. Senza negare di ripetere pagine già scritte e ormai lette in più parti d'Europa (significativa la citazione in apertura del Barone von Maltzan), il monzese sente maggiore la necessità di far "amare un'isola bellissima ed infelicissima, che noi italiania bbiamo il torto di dimenticar troppo e di amare troppo poco". Questo sincero affetto permea tutta l'opera, che è frutto anzitutto di un uomo di governo, che sente la necessità di sottolineare l'unità e la continuità dell'isola col resto d'Italia, non solo come dato politico figlio di quegli anni, ma soprattutto come elemento per un nuovo sviluppo, frutto di un'azione sinergica di cui come membro della Commissione di inchiesta si sente in quel momento investito. Sostiene: "Or conviene che isola e penisola si perdonino a vicenda i loro peccati, [...] e si preparino ai tempi nuovi, e si mettano con forze comuni a fecondare una terra quasi deserta e che ha dinanzi a sé un avvenire senza confini".Comincia la descrizione con Cagliari e Sassari, "le due gemme della Sardegna", elogiate a lungo, e per contrapposizione descrive i vasti spazi solitari, immobili "non accorciati dalle ferrovie e solcati dall'aratro" che separano le città dagli stazzi, dai paesi dell'entroterra. Racconta in pagine colorate le persone e i loro costumi, la qualità e soprattutto la varietà degli abiti che di paese in paese si arricchiscono di nuovi orpelli, e il mistero che circonda le donne la cui bellezza recondita è accentuata dai veli che coprono i loro capi.L'opera si conclude con un appello alle nuove generazioni affinché sfruttino le risorse dell'isola, e i sardi trovino anzitutto in se stessi lo stimolo all'azione, e abbandonino il vizio "dei sofismi adoperati come raziocini" e cessino l'abitudine di piangersi addosso.
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