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Viaggiatori dell’Ottocento

Viaggiatori dell’Ottocento

Viaggiatori dell’Ottocento

Nel secolo XIX l’isola venne scoperta da viaggiatori, letterati e scrittori stranieri che la identificarono come una terra romanticamente misteriosa e affascinante da visitare e da studiare. L'immagine che emerge dalla letteratura di viaggio ottocentesca è quella di un'isola lontana nello spazio e nel tempo caratterizzata da tradizioni arcaiche e mitologiche, una civiltà senza tempo e dalle origini misteriose. Dai loro scritti emerge una natura incontaminata e affascinante, fitte foreste, ricchezze inesauribili, usi e costumi raccontati con particolare attenzione alle superstizioni e ai riti religiosi che rappresentano la testimonianza di antiche tradizioni. Vengono descritte le maggiori città dell’isola, ma anche il vasto territorio circostante poco agevole da attraversare, privo di strade comode, in alcune zone abitato da genti poco amiche.

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Gaston Vuillier
Gaston Vuillier (1846-1915) è un ritrattista francese molto conosciuto e amato, che illustra opere di Chateubriand e di Mérimée, saggista e collaboratore di diverse riviste, per una delle quali - il "Journal de voyages"...
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Robert Tennant
Merita di essere brevemente citato uno "sguardo" diverso sulla Sardegna che è quello dell'inglese Robert Tennant, che si differenzia, rispetto a molti viaggiatori suoi contemporanei, per l'approccio con il quale affronta...
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William Henry Smith
"Nelle due visite che ho compiuto in Sardegna durante l'ultima guerra mi sono convinto che pochi luoghi, opponendosi alle suggestioni assimilatrici della civiltà, hanno conservato tanta parte del loro primitivo carattere...
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Alberto della Marmora
Alberto Ferrero della Marmora scrive probabilmente l'opera più famosa tra i resoconti di viaggio dell'Ottocento. Il suo ''Voyage en Sardaigne'', apparso in una prima edizione nel 1826 e poi successivamente nel 1840 con l...
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Charles Edwardes
Se Joseph Fuos può essere a ragione considerato l'iniziatore della letteratura di viaggio sulla Sardegna, Edwardes si può dire l'ultimo della lunga serie di scrittori che ha consegnato attraverso pagine ora irreali ora s...
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Francesco d'Austria-Este
Francesco IV è il figlio di Maria Beatrice d'Este e dell'arciduca Ferdinando d'Austria, governatore della Lombardia.
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Joseph Fuos
Secondo lo studioso Francesco Alziator la letteratura di viaggio sulla Sardegna comincia col tedesco Joseph Fuos.
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Carlo Corbetta
Nel 1877 esce a Milano per l'editore Brigola, l'opera "Sardegna e Corsica", frutto dell'esperienza di viaggio di Carlo Corbetta.
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Gustave Jourdan
"Poco fatta per ispirare un turista, la Sardegna ci dà molto però di riflettere. Si può capire un'oasi nel deserto, ma come capire la barbarie in seno alla civiltà, come spiegare il fenomeno della Sardegna?
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Mary Davey
"Chiedo la massima indulgenza per questo piccolo prodotto letterario che vorrei presentare come un ritratto fedelmente abbozzato della più grande e meno conosciuta delle soleggiate isole del Mediterraneo.
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Paolo Mantegazza
Nel 1869 lo stato di crisi endemica della Sardegna giunge sui tavoli dei deputati al Parlamento, che decidono di nominare una Commissione d'inchiesta per valutare la situazione e porvi rimedio.
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Leone Gouin
Leone Gouin nasce a Tours, in Francia, nel 1829. Giunge nell'isola nel 1858 per studiare i problemi legati al mondo minerario, che proprio in quegli anni mira ad aumentare in maniera decisa le sue produzioni con l'immiss...
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Antonio Bresciani
Antonio Bresciani è un padre gesuita appassionato di scrittura e ricerca. Attivo fin dalla giovane età, è autore di romanzi e saggi, oltre che essere uno dei primi redattori del giornale "Civiltà Cattolica".
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John Warre Tyndale
Pubblicata a Londra nel 1849, l'opera "The Island of Sardinia" ebbe subito un grande successo sia in Inghilterra che in Irlanda.
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Honoré de Balzac
Honoré de Balzac nasce a Tours nel 1799 da famiglia borghese abbastanza agiata, studia in collegio prima nella città natale e poi a Parigi, dove si trasferisce con la famiglia.
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Heinrich von Maltzan
"Grazie al sapiente indirizzo e consiglio del primo archeologo dell'isola, il canonico Spano, si schiusero alla mia mente i tesori archeologici di questo paese così poco noti, un intero mondo dell'antichità - antichità d...
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Valery
Valery è lo pseudonimo di Antoine-Claude Pasquin, conservatore delle biblioteche del re nel palazzo di Versailles e di Trianon, sia sotto il regno di Carlo X di Borbone (1824-30) sia sotto quello successivo di Luigi Fili...
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Francesco Aventi
Francesco Aventi è uno studioso di problemi dell'agricoltura che, dopo aver visitato l'isola nella primavera del 1869, scrive un saggio sotto forma di lettere, quattordici in tutto, indirizzate al professor Francesco Lui...
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Alphonse de Lamartine
Alphonse de Lamartine nasce a Mâcon nel 1790. Compiuti gli studi giunge in Italia e soggiorna a Napoli, esperienza determinante per la sua opera e per la sua vita sentimentale.
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Emanuel Domenech
Il libro di Emanuel Domenech appare a Parigi nel 1867 col titolo "Bergers et Bandits. Souvenirs d'un voyage en Sardaigne".
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Abiti tradizionali

L’insieme vestimentario oggi comunemente definito tramite l’espressione “costume popolare della Sardegna” costituisce il risultato di un lunghe e complesse dinamiche di trasformazione e rifunzionalizzazione che occupano il periodo intercorrente fra il XVI secolo per concludersi alla fine del XIX secolo. I più importanti viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi  (J. Fuos, W. Smith, il francese A.C. Pasquin detto Valery, A. Bresciani, ecc.) nei loro resoconti tessono le lodi, ammirati,  della magnificenza degli abiti  e della gioielleria dei Sardi. Alcune opere sono illustrate dallo stesso autore, come  Les îles oubliées (1893) del Valery, altre corredate da tavole eseguite da disegnatori e pittori, come le litografie annesse all’Atlas del La Marmora realizzate da G. Cominotti ed E. Gonin, pubblicate per la prima volta nel 1826. Preziose dal punto di vista documentario sono ulteriori fonti iconografiche d’epoca sull’abbigliamento popolare sardo: dalle tavole della Collezione Luzzietti (databili fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), agli acquerelli di Tiole (1819-1826), alle litografie a colori di L.  Baldassarre (1841),  alla Galleria di costumi sardi  del  Dalsani  (1878). Lo sguardo “dall’esterno” dei viaggiatori contribuì non poco ad ammantare l’abbigliamento tradizionale sardo di un’aura mitizzante, declinata in prospettiva antiquaria e comparata al mondo biblico o all’antichità classica. Specie i testi degli autori dell’ultimo trentennio del XIX secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) esaltano l’armonia cromatica degli abiti delle popolane e la loro bellezza «antica e fiera». Il carattere conservativo dell’abbigliamento trova riverbero nell’etica austera del popolo che lo indossa e nella postura ieratica. Nonostante l’evidente intento mitizzante, che sarà assorbito anche dagli scrittori sardi  ̶̶  fra tutti il Nobel Grazia Deledda  ̶̶ , tuttavia, nei resoconti dei viaggiatori è colta con estrema attenzione la funzione demarcatrice delle fogge del vestire fra un paese e l’altro.  Le donne […] in Sardegna non escono di loro fogge per niuna cosa del mondo. E comechè i villaggi di Selargius, di Pauli, di Pirri, di Sestu, di Maracalagonis siano così prossimi l’uno all’altro che alcuni sentono le campane delle circostanti Pievi, tuttavia ciascun villaggio si discosta dall’altro per tal maniera, che a prim’occhio si dice: quella è donna di Quartu, quell’altra è di Sestu, di Pauli, o di Sinai: ciò non reca meraviglia a chi conosce il paese, specialmente ne’ luoghi più interni dell’isola. (A. Bresciani, 1850). Tale funzione identificatrice dell’“abito bandiera”, collante per i sentimenti di appartenenza identitaria, permane a tutt’oggi. Attualmente l’abito tradizionale non risponde più alle funzioni pratiche che soddisfaceva in passato: riscaldare il corpo nelle stagioni più rigide, scandire l’identità civile e sociale, indicare lo stato d’animo (la gioia nel cromatismo acceso dei colori e il lutto, principalmente espresso dal nero). Oggidì “il costume riproposto” si indossa limitatamente a occasioni speciali, come processioni, sagre e manifestazioni a carattere turistico. Risponde, sì, alla necessità d’individuare e portare alta la bandiera paesana o cittadina, ma è soprattutto legato alla funzione di definire un’unica identità etnica, quella sarda, pur nella variegata molteplicità delle sue appartenenze locali.

Leggi tutto Leggi tutto L’insieme vestimentario oggi comunemente definito tramite l’espressione “costume popolare della Sardegna” costituisce il risultato di un lunghe e complesse dinamiche di trasformazione e rifunzionalizzazione che occupano il periodo intercorrente fra il XVI secolo per concludersi alla fine del XIX secolo. I più importanti viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi  (J. Fuos, W. Smith, il francese A.C. Pasquin detto Valery, A. Bresciani, ecc.) nei loro resoconti tessono le lodi, ammirati,  della magnificenza degli abiti  e della gioielleria dei Sardi. Alcune opere sono illustrate dallo stesso autore, come  Les îles oubliées (1893) del Valery, altre corredate da tavole eseguite da disegnatori e pittori, come le litografie annesse all’Atlas del La Marmora realizzate da G. Cominotti ed E. Gonin, pubblicate per la prima volta nel 1826. Preziose dal punto di vista documentario sono ulteriori fonti iconografiche d’epoca sull’abbigliamento popolare sardo: dalle tavole della Collezione Luzzietti (databili fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), agli acquerelli di Tiole (1819-1826), alle litografie a colori di L.  Baldassarre (1841),  alla Galleria di costumi sardi  del  Dalsani  (1878). Lo sguardo “dall’esterno” dei viaggiatori contribuì non poco ad ammantare l’abbigliamento tradizionale sardo di un’aura mitizzante, declinata in prospettiva antiquaria e comparata al mondo biblico o all’antichità classica. Specie i testi degli autori dell’ultimo trentennio del XIX secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) esaltano l’armonia cromatica degli abiti delle popolane e la loro bellezza «antica e fiera». Il carattere conservativo dell’abbigliamento trova riverbero nell’etica austera del popolo che lo indossa e nella postura ieratica. Nonostante l’evidente intento mitizzante, che sarà assorbito anche dagli scrittori sardi  ̶̶  fra tutti il Nobel Grazia Deledda  ̶̶ , tuttavia, nei resoconti dei viaggiatori è colta con estrema attenzione la funzione demarcatrice delle fogge del vestire fra un paese e l’altro.  Le donne […] in Sardegna non escono di loro fogge per niuna cosa del mondo. E comechè i villaggi di Selargius, di Pauli, di Pirri, di Sestu, di Maracalagonis siano così prossimi l’uno all’altro che alcuni sentono le campane delle circostanti Pievi, tuttavia ciascun villaggio si discosta dall’altro per tal maniera, che a prim’occhio si dice: quella è donna di Quartu, quell’altra è di Sestu, di Pauli, o di Sinai: ciò non reca meraviglia a chi conosce il paese, specialmente ne’ luoghi più interni dell’isola. (A. Bresciani, 1850). Tale funzione identificatrice dell’“abito bandiera”, collante per i sentimenti di appartenenza identitaria, permane a tutt’oggi. Attualmente l’abito tradizionale non risponde più alle funzioni pratiche che soddisfaceva in passato: riscaldare il corpo nelle stagioni più rigide, scandire l’identità civile e sociale, indicare lo stato d’animo (la gioia nel cromatismo acceso dei colori e il lutto, principalmente espresso dal nero). Oggidì “il costume riproposto” si indossa limitatamente a occasioni speciali, come processioni, sagre e manifestazioni a carattere turistico. Risponde, sì, alla necessità d’individuare e portare alta la bandiera paesana o cittadina, ma è soprattutto legato alla funzione di definire un’unica identità etnica, quella sarda, pur nella variegata molteplicità delle sue appartenenze locali.

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