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La festa del Redentore a Nuoro

La festa del Redentore a Nuoro

La festa del Redentore a Nuoro

Le origini della festa del Redentore a Nuoro sono da ricercarsi nelle iniziative predisposte in concomitanza con l’anno giubilare 1900, allorché papa Leone XIII espresse la volontà che venissero collocate su 19 vette d’Italia altrettanti simulacri di Gesù Redentore. Il Monte Ortobene di Nuoro fu fra le zone prescelte. La diocesi della città barbaricina si occupò di definire le caratteristiche dell’opera e di reperire i fondi necessari. Alla campagna di raccolta dei fondi partecipò anche Grazia Deledda, scrivendo una “lettera-appello” sull’Unione Sarda. 

La statua bronzea, alta 7 metri e del peso di 18 quintali venne fusa a Napoli, dove risiedeva l’autore, Vincenzo Jerace. Una volta pervenuto a Nuoro l’imponente simulacro fu trasportato da carri a buoi messi a disposizione dai contadini nuoresi. L’opera venne inaugurata il 29 agosto del 1901, con rievocazione annuale e annesso rito religioso.

Sin dall’inizio la festa del Redentore, fu animata dalla devozione dei fedeli, perciò può essere senz’altro definita come festività religiosa. A poco più di dieci anni di distanza dall’inaugurazione del sacro simulacro, così si legge nel romanzo deleddiano Canne al vento (1913) a proposito del fermento messo in moto dalla festa:

In agosto e settembre fu un andare continuo, un correre affannoso. Dapprima salirono sul monte Orthobene per la festa del Redentore.

Era d’agosto, la luna grande, rossa sorgeva dal mare e illuminava i boschi. […] All’alba s’udì un salmodiare lontano; e (scil. Efis) passò la notte a pregare sotto la croce nera che pareva unisse il cielo azzurro alla terra grigia. All’alba si udì un salmodiare lontano; una processione salì da valle e in un attimo le rocce si ricoprirono di bianco e di rosso, i cespugli fiorirono di volti di fanciulli ridenti, e sotto gli elci i vecchi pastori s’inginocchiarono come Druidi convertiti.
Sopra l’altare tagliato sulla viva pietra il calice scintillò al sole, e il Redentore parve indugiare prima di spiccare il volo dalla roccia, piantando la croce fra la terra grigia e il cielo azzurro.

Con l’andar del tempo al carattere religioso della festa si accostò quello folkloristico. Oggidì i due aspetti convivono, pur essendo ripartiti in momenti differenziati. 
Il 29 agosto i devoti si radunano di fronte alla cattedrale di Santa Maria della neve, cantando i gosos (laudi sacre in lingua sarda). Da qui prende le mosse un pellegrinaggio di circa 6 km, scandito da 13 stazioni, sino ai piedi del Monte Ortobene. Il momento di maggior solennità è la celebrazione della Messa solenne. Nei giorni precedenti si svolge uno dei più importanti eventi folkloristici dell’Isola. Sfilano circa tremila figuranti in abiti tradizionali, duecento amazzoni e cavalieri anch’essi abbigliati secondo tradizione, le più tipiche maschere carnevalesche della tradizione sarda. Il tutto accompagnato dal sottofondo delle musiche tradizionali eseguite dai suonatori di launedhas, organetto e fisarmonica e dal canto polivocale a quattro voci, detto “a tenore”. 

Aggiornamento

30/7/2024 - 13:09

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