Un altro pane di foggia antropomorfa, come sa pipia ’e Carèsima, ma con sembianze maschili, era su Làzaru o Lazareddu. Il suo nome e le relative caratteristiche figurative, sdraiato in posizione supina, avvolto dalle bende, in alcune varianti con i segni della decomposizione (rappresentati da vermi), fanno riferimento al personaggio evangelico di Lazzaro (Gv 11: 1 - 44). La resurrezione di Lazzaro di Betania, quattro giorni dopo la morte, è l’ultimo miracolo fatto da Gesù prima di essere tratto in arresto e condannato al supplizio capitale della crocefissione. Amico fraterno di Lazzaro e delle sorelle di questi, Marta e Maria, Gesù, giunto a Betania, si recò presso il sepolcro e, fatta togliere la pietra che lo chiudeva, chiamò a gran voce il defunto, ordinandogli di uscire dalla tomba. Lazzaro uscì dal sepolcro, ancora avvolto dalle bende funebri. Gesù ordinò che fosse liberato da queste ultime (simbolo dei lacci della morte) e che fosse lasciato andare, libero di tornare alla vita.
Alcuni studiosi, pur riconoscendo l’incerta destinazione di questo pane quaresimale, sostengono che probabilmente si trattava di un pane per bambini. Nella versione di Villaurbana (OR), il Lazareddu, confezionato per i bambini, aveva due chicchi di grano al posto degli occhi, il corpo fasciato da bende, con i segni della decomposizione. È chiaro, tuttavia, che al di là del fatto che fosse dedicato ai bambini, su Làzaru possiede una carica simbolica di importanza tale nel tempo quaresimale da renderlo senz’altro collocabile fra i pani cerimoniali e rituali. Anzi, per la pregnanza segnica e ideologica che racchiude, si può ritenere che su Làzaru rappresenti uno degli elementi rituali di maggiore profondità storico-culturale della Quaresima in Sardegna, ed è significativo che a dare espressione a tale valenza sia l’arte della panificazione, che l’antropologo Alberto Mario Cirese ebbe a definire come la «principale specialità culturale dei Sardi».
Il miracolo della resurrezione di Lazzaro non solo è segno della potenza divina che vince la morte, prova inconfutabile della natura sovraumana di Cristo (come sottolinearono i primi autori cristiani, quali Tertulliano e Agostino), ma è prefigurazione stessa della morte e Resurrezione del Dio fatto uomo.
Pur nella stilizzazione della rappresentazione estremamente semplificata in pasta di pane, Lazzaro con due chicchi di grano al posto degli occhi e, come si è accennato, con la raffigurazione dei segni della morte (vermicelli modellati in maniera estremamente semplificata) è, altresì, accostabile funzionalmente a su nènniri, il grano germogliato al buio, come Lazzaro e Gesù nel sepolcro. Is nènniris erano vasi contenenti germogli di grano pallidi come la morte, ma al contempo segno di vita che si afferma malgrado il buio, che ornavano immancabilmente i Sepolcri, gli altari della Reposizione, il Giovedì Santo.
(Immagine di copertina: “Lazzareddu”, Villaurbana. Archivio fotografico ISRE)
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