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Sa pipia ’e Càresima, fra pane calendariale e pane rituale

Sa pipia ’e Càresima, fra pane calendariale e pane rituale

Sa pipia ’e Càresima, fra pane calendariale e pane rituale

Sa pipia ’e Carèsima e varr. è un pane calendariale, esattamente come su pane ’e sa cida e sim. (letteralmente, ‘il pane della settimana’). Quest’ultimo, diffuso in area campidanese, consisteva in sette pipieddas (bamboline) di pane innestate in un filo, come i vaghi di una collana. A differenza della Sardegna centrale, dove l’intervallo temporale fra una cotta (cottura, indicante metonimicamente, come momento conclusivo, ciascuna panificazione) e l’altra del pane carasau aveva tempi più dilatati, poiché, grazie al processo di carasatura (abbrustolitura e, dunque, disidratazione), il pane godeva di una più lunga durata di edibilità, nel Campidano la panificazione aveva cadenza settimanale. Ogni giorno dal filo di su pane e sa cida e sim. veniva staccata una bambolina e donata ai bambini di casa per fini più ludici che alimentari. La sottrazione degli elementi costitutivi di questo pane composito rendeva immediatamente visibile il tempo mancante alla successiva panificazione, momento cruciale dell’attività domestica perché finalizzato alla produzione del cibo per antonomasia.

Sa pipia ’e Caresima, documentata non solo nel Campidano (ma anche, p. es., nel Barigadu e in Barbagia), era un pane dotato di foggia antropomorfa femminile, più o meno pintada e sim. o froria e sim., ossia decorata, a seconda della perizia della massaia, con tante gambette da staccare per ciascuna settimana della Quaresima. Le gambette, sempre conformemente al livello di complessità esornativa, potevano avere le estremità sfrangiate, al fine di evocare le dita dei piedi (come nelle braccia le dita delle mani). Spesso alla bambolina di pane se ne affiancava una di carta.

Non solo pane calendariale, ma anche afferente all’ambito dei pani rituali, in virtù della sua collocazione temporale in un momento dell’anno calendariale ricco di ritualità, sa pipia de Caresima trova confronti in area mediterranea, p. es. nell’isola di Creta.

Una volta messa in forma, decorata e cotta, a volte soggetta a un processo di lucidatura (iscaddadura), esposizione al vapore prima di essere nuovamente infornata, veniva appesa nelle case il Mercoledì delle Ceneri, spesso vicino al caminetto. Ogni gambetta staccata veniva per lo più bruciata nel fuoco, quale simbologia del tempo consumato. La ritualità dell’eliminazione visiva (attraverso l’asportazione di ciascuna gambetta della pipia di pane) del tempo quaresimale trascorso era anche segno di una sempre maggiore prossimità alla solennità pasquale, tempo di giubilo e fine della penitenza quaresimale. Il fatto che sa pipia ’e Caresima veniva esposta nelle abitazioni proprio il Mercoledì delle Ceneri, non è privo di significato. Detto Mèrculis de lessia (e sim.), in questo giorno proprio con la liscìvia, una soluzione ottenuta trattando con acqua bollente la cenere del legno, si lavavano tutte le stoviglie domestiche, specie le pentole, sì da sgrassarle da ogni residuo di lardo, che avrebbe potuto contaminare il tempo dell’astinenza e del sacrificio quaresimale.

(Immagine di copertina: “Pane rituale”, Mastio Albeto)

Aggiornamento

7/4/2025 - 11:40

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