Seguici su
Cerca Cerca nel sito

Lievitazione naturale e lavorazione della pasta del pane

Lievitazione naturale e lavorazione della pasta del pane

Lievitazione naturale e lavorazione della pasta del pane

Dopo essere state vagliate, le farine “riposano” per almeno un giorno dentro appositi cesti, corbule,  ricoperte da candidi teli.

La sera si procede con la preparazione del lievito naturale / lievito madre (madrighe, frammentu). Si prelevava un tocco di pasta inacidita, conservato dalla cotta (ciclo panificatorio) precedente in una ciottola disposta in un luogo fresco e asciutto della casa. Il lievito naturale costa di pochi ingredienti: farina, acqua e l’agente lievitante e da microrganismi. Il lievito prelevato veniva “rinfrescato” e la mattina dopo, già sciolto veniva, mescolato alle farine da panificare, impastato con acqua tiepida e un pizzico di sale entro una conca di terracotta (tianu, scivedha, ecc.), oppure, come in Barbagia, dentro una madia di legno.

L’impasto dapprima veniva lavorato con la pressione dei pugni chiusi e delle nocche (cumossai), poi, con l’aggiunta di acqua, veniva manipolato con i pugni chiusi e costantemente rimescolato (spongiai). Queste operazioni erano necessarie e sufficienti per la realizzazione di soffici pani di farina o di farine integrali: p. es. civraxu, modditzosu, ecc.

Per i pani a pasta dura o a sfoglie sottili era necessaria un’ulteriore lunga lavorazione, con la forte pressione  del palmo della mana (cariare, ciuexi, ecc.).

Lunga e faticosa, la lavorazione della pasta nelle zone a economia contadina prevedeva l’aiuto anche delle braccia maschili. Unica eccezione in un ciclo di lavoro fortemente connotato, in termini di genere, “al femminile”.

Soltanto nel periodo fra le due guerre, fu introdotto l’uso della “macchina ’e ciuexi”, appannaggio delle sole famiglie benestanti.

Finalmente liscia ed elastica, la pasta poteva essere considerata definitivamente lavorata e poteva essere messa a lievitare (axedai) dentro una conca in terracotta o dentro un recipiente in sughero (malune), ben ricoperta con appositi teli di lino o di cotone, o addirittura con una coperta di lana.

Dopo qualche ora, verificata l’avvenuta lievitazione, si divideva la pasta in tocchi di eguale misura, che venivano disposti fra le pieghe di una tovaglia bianca, a riposare e lievitare ancora.

Successivamente si metteva in forma il pane, in modalità più semplici, se di uso ordinario.  Con l’ausilio di coltellini, forbicine, rotelle tagliapasta, ecc. qualora si trattasse di pani cerimoniali.

Di solito durante “sa cotta ’e su pani” (la panificazione) si confezionavano piccoli pani giocattolo per i bambini di casa o per quelli del vicinato.

Nella stessa “cotta” erano inclusi, altresì, pani conditi con le verdure dell’orto (pomodoro, cipolla, ecc.), con prodotti stagionali come la ricotta, o con riserve domestiche quali i ciccioli di grasso del maiale (pane/i cun gerda e simili).

Aggiornamento

22/6/2024 - 15:44

Commenti

Scrivi un commento

Invia