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Abiti tradizionali

Abiti tradizionali

Abiti tradizionali

L’insieme vestimentario oggi comunemente definito tramite l’espressione “costume popolare della Sardegna” costituisce il risultato di un lunghe e complesse dinamiche di trasformazione e rifunzionalizzazione che occupano il periodo intercorrente fra il XVI secolo per concludersi alla fine del XIX secolo.

I più importanti viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi  (J. Fuos, W. Smith, il francese A.C. Pasquin detto Valery, A. Bresciani, ecc.) nei loro resoconti tessono le lodi, ammirati,  della magnificenza degli abiti  e della gioielleria dei Sardi. Alcune opere sono illustrate dallo stesso autore, come  Les îles oubliées (1893) del Valery, altre corredate da tavole eseguite da disegnatori e pittori, come le litografie annesse all’Atlas del La Marmora realizzate da G. Cominotti ed E. Gonin, pubblicate per la prima volta nel 1826.

Preziose dal punto di vista documentario sono ulteriori fonti iconografiche d’epoca sull’abbigliamento popolare sardo: dalle tavole della Collezione Luzzietti (databili fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), agli acquerelli di Tiole (1819-1826), alle litografie a colori di L.  Baldassarre (1841),  alla Galleria di costumi sardi  del  Dalsani  (1878).

Lo sguardo “dall’esterno” dei viaggiatori contribuì non poco ad ammantare l’abbigliamento tradizionale sardo di un’aura mitizzante, declinata in prospettiva antiquaria e comparata al mondo biblico o all’antichità classica. Specie i testi degli autori dell’ultimo trentennio del XIX secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) esaltano l’armonia cromatica degli abiti delle popolane e la loro bellezza «antica e fiera». Il carattere conservativo dell’abbigliamento trova riverbero nell’etica austera del popolo che lo indossa e nella postura ieratica.

Nonostante l’evidente intento mitizzante, che sarà assorbito anche dagli scrittori sardi  ̶̶  fra tutti il Nobel Grazia Deledda  ̶̶ , tuttavia, nei resoconti dei viaggiatori è colta con estrema attenzione la funzione demarcatrice delle fogge del vestire fra un paese e l’altro. 

Le donne […] in Sardegna non escono di loro fogge per niuna cosa del mondo. E comechè i villaggi di Selargius, di Pauli, di Pirri, di Sestu, di Maracalagonis siano così prossimi l’uno all’altro che alcuni sentono le campane delle circostanti Pievi, tuttavia ciascun villaggio si discosta dall’altro per tal maniera, che a prim’occhio si dice: quella è donna di Quartu, quell’altra è di Sestu, di Pauli, o di Sinai: ciò non reca meraviglia a chi conosce il paese, specialmente ne’ luoghi più interni dell’isola. (A. Bresciani, 1850).

Tale funzione identificatrice dell’“abito bandiera”, collante per i sentimenti di appartenenza identitaria, permane a tutt’oggi. Attualmente l’abito tradizionale non risponde più alle funzioni pratiche che soddisfaceva in passato: riscaldare il corpo nelle stagioni più rigide, scandire l’identità civile e sociale, indicare lo stato d’animo (la gioia nel cromatismo acceso dei colori e il lutto, principalmente espresso dal nero). Oggidì “il costume riproposto” si indossa limitatamente a occasioni speciali, come processioni, sagre e manifestazioni a carattere turistico. Risponde, sì, alla necessità d’individuare e portare alta la bandiera paesana o cittadina, ma è soprattutto legato alla funzione di definire un’unica identità etnica, quella sarda, pur nella variegata molteplicità delle sue appartenenze locali.

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Cagliari, Centro Comunale d'arte Il Ghetto

Il Centro Comunale d’Arte il Ghetto di Cagliari è un monumento storico e spazio polivalente: espositivo e performativo, dotato di terrazza panoramica sui tetti dell’antico quartiere di Stampace.Il nucleo originario dell’attuale struttura risale al 1738, anno in cui fu fondata la caserma militare intitolata a San Carlo e che divenne sede del corpo militare dei “Dragoni di Sardegna”.Il suggestivo percorso di visita conduce alla scoperta dei tre piani e delle loro singole peculiarità: dal pianoterra, che coincide con l’ingresso dell’edificio, fino al piano interrato della “Cannoniera” e quello ancora più profondo rinominato piano delle Segrete. L’ampia terrazza del centro culturale offre uno dei più vasti panorami della città di Cagliari ed è pertanto una tappa imperdibile durante la visita del sito.

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