Il 30 novembre è il giorno della festività di Sant’Andrea per le Chiese di Oriente e di Occidente.
Originario di Betsaida in Galilea, svolgeva il mestiere di pescatore assieme al fratello Simon Pietro, quando i due, per primi, furono chiamati da Gesù a essere suoi discepoli e, dunque, pescatori di uomini. Essendo stato, inoltre, il primo discepolo di Giovanni Battista, è chiamato Protócletos (il primo).
La rappresentazione iconografica di Sant’Andrea è spesso associata al pesce; testimonianza visiva delle sue origini di pescatore. Inoltre, sin dall’epoca paleocristiana, l’acronimo della parola greca per pesce ἰχθύς: ᾿Ιησοὸς Χριστὸς Θεοῦ υἱὸς Σωτήρ (Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore) assurgeva a vero e proprio emblema della fede cristiana.
A Bono, paese sito nella regione storica del Goeceano, è ben attestata l’usanza da parte dei bambini di questuare, porta a porta, al grido di «a Sant’Andria, a Sant’Andria» con una zucca svuotata, intagliata a guisa di viso scheletrico e illuminata dall’interno con una candela accesa.
L’uso di zucche (curcuvìcias) era attestato e sussiste nelle questue infantili autunnali dedicate anche a Orani, in provincia di Nuoro, la sera del primo e del secondo giorno di novembre dopo il tramonto. Le zucche illuminate internamente da una candela accesa erano denominate animeddas (piccole anime) e rappresentavano, come non è difficile intuire, lo spirito dei defunti.
A Bono la questua che i bambini svolgono il 30 di novembre prende il nome di Sant’Andria. I piccoli questuanti portavano un fazzoletto (su pannitzu) annodato a mo’ di sacchetto nel quale riporre i doni ricevuti: dolci, noci, castagne, ecc.
Negli ultimi anni, dato che l’usanza sembrava affievolirsi in ragione del cambiamento dei modelli culturali, è intervenuta la Proloco, con l’allestimento nelle piazze del paese di banchetti con le prime spillature del vino locale, allorquando l’annata lo consenta.
A Cossoine il 30 di novembre era usanza mangiare grano bollito (trigu uddidu) dolcificato con la sapa. Questa preparazione alimentare aveva un valore benaugurante.
La sera, dopo l’Avemaria, si diceva che uscisse Sant’Andrea. In realtà erano alcune donne anziane che si mascheravano indossando un cappotto d’orbace con il cappuccio e portando sul viso maschere particolarmente brutte. La padrona di casa lasciava l’uscio socchiuso, sì che potesse entrare Sant’Andrea. I bambini erano terrorizzati. Alle ragazzine Sant’Andrea chiedeva: «cantas azzolas as filadu? Battoro e otto, manos e pes non ti nde tocco, battoro e chimbe manos e pes segare ti nde» (‘quante matasse hai filato? Quattro e otto, mani e piedi non te li tocco, quattro e cinque mani e piedi debbo tagliarti’) e nel frattempo agitava un coltello e uno spiedo. A questo punto, intervenivano i genitori della fanciulla, i quali esclamavano «già l’as filadas» (‘sì che le ha filate’) e mostravano un minimo di otto matasse filate. Allora Sant’Andria rispondeva: «Brava, brava, continua gai fintzas a s’annu chi enit!» (‘Brava, brava, continua così sino all’anno prossimo!’).
Numerose analogie si possono cogliere fra le ritualità or ora descritte per Bono e quelle documentate per Martis (SS) dal folklorista Giuseppe Ferraro, il quale alla fine dell’Ottocento riferiva che Sant’Andrea premiava le ragazze volenterose che filavano con solerzia, mentre minacciava le pigre del taglio delle mani.
In vari centri del sassarese, fra cui Cossoine, relativamente al mese di novembre esiste un detto proverbiale: Sant’Andria, moltoridade ’e polcos, ovvero ‘Novembre, moria di maiali’. La macellazione del maiale da ingrasso equivaleva a un momento di socialità e condivisione, che metteva in moto l’istituto della reciprocità: la famiglia il cui maiale veniva macellato regalava parti di carne a parenti e amici, che avrebbero restituito la cortesia a momento debito. Si trattava di un espediente che in passato, in assenza di frigoriferi e surgelatori, ovviava al problema della conservazione della carne, garantendo un circuito di carne sempre fresca.
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