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Abito femminile di gala di Desulo

Abito femminile di gala di Desulo

Abito femminile di gala di Desulo

L’abito femminile festivo della tradizione desulese, per l’acceso cromatismo riproposto in tutti gli indumenti che lo costituiscono, è uno dei più suggestivi di tutta l’Isola.

L’esemplare immortalato dalle fotografie risale ai primi decenni del XX secolo  ed è custodito presso il Museo del Costume di Nuoro.

A differenza della sovrabbondanza di gioielli degli abiti riservati al contesto festivo in altre località (p. es. Cagliari, Dorgali,  Ittiri, ecc.), nell’abito femminile desulese l’uso estremamente parco dei gioielli è supplito da una gran copia di ricami. Infatti, fra i monili figura esclusivamente  la coppia di gioielli in filigrana d’oro, con castone centrale in lamina d’oro contenente pasta di turchese, a chiusura del colletto. A essi si aggiunge una semplice catena d’argento a maglie larghe circolari finalizzata a chiudere il grembiule da testa (su saùciu), disposto sulla graziosa cuffietta (cugudhu). Come molte delle altre parti dell’abito in questione, la cuffietta è realizzata in panno rosso di lana (su scarlatu) e raso blu, il tutto ricamato a mano con fili di seta dai classici colori rosso, giallo e blu, e guarnita con nastro colorato (sa preta). È chiusa a fiocco sotto il mento mediante due nastri, solitamente di colore rosso. Nel ricamo ricorre il punto croce (punt’ ’e ruge), ma, come nel resto degli indumenti, figurano altri punti del ricamo (recamu) dalla forma e la denominazione differente: piccoli rombi (manedhas prenas: manine piene); rotelline (orrodedhas); piccoli puntini gialli, ricamati sul blu e assimilati a coccinelle in volo (pioledhas); ecc.

La camicia, in mussolina, presenta il colletto ricco di ricami bianchi sul bianco dell’indumento, così come abbondano le decorazioni nei polsini e all’attaccatura  della spalla (sa tentura). La camicia, lunga fino alla caviglia, agiva da sottogonna (per proteggere le gambe dalla ruvidezza dell’orbace). Le maniche, abbottonate ai polsi, fuoriescono elegantemente dal giacchino (su cipone). Quest’ultimo presenta una base di panno di lana rosso, con applicazioni di nastri blu e con l’esecuzione di ricchi ricami policromi, ma prevalentemente gialli, che ribattono le linee sartoriali di questo capo, arricchendolo. Su cipone, inoltre, lascia in bella vista il corpetto (sas paletas), indossato sopra la camicia.   Il corpetto è rosso, in seta damascata, rivestito da nastri e decorato con ricami dai motivi geometrici e policromi, con una scollatura a due punte ritorte in corrispondenza del seno. È possibile che la foggia appuntita di questo elemento del corpetto, specie del caso delle neomamme, fosse dotata di un valore amuletico, volto a evitare il furto magico del latte (contro in quale in altre aree dell’Isola era impiegata una pietra bianca di forma circolare, incapsulata in argento e dotata di catenella e anello di sospensione, detta pedra ’e late e sim.).

Anche i variegati ricami, specie quelli concentrati nelle aree vitali del corpo  ̶  i polsi e il colletto della camicia  ̶ , come tramandato dalle informatrici più anziane, erano investiti di una funzione protettiva contro il malocchio (s’ogu malu).

La gonna è composta da due parti: una superiore di orbace rosso, e una inferiore di panno. Le due parti sono unite da un ricamo di vari colori realizzato su nastro azzurro e da ricami gialli che scendono, longitudinalmente, sui lati.

Il grembiule, su saùciu, è di panno rosso con ricami e una cornice di nastro azzurro, con allacciatura posteriore.

Si aggiunga che il grembiule da testa, indossato sopra la cuffietta, in occasione di usi cerimoniali poteva essere sostituito da su  capùciu in panno nero con pieghe che partono a raggera dalla sommità del capo e bordi in taffetà di seta, o in damasco di seta nelle ultime lussuose varianti. Possiamo ammirare questo sobrio copricapo indossato dalle prioresse che partecipano alla processione di Sas Prammas a Desulo, che ogni anno si svolge la domenica prima di Pasqua ed è trasmessa in diretta televisiva.

Particolari erano i segni del lutto, espressi attraverso il colore degli indumenti o di tutto l’abito.

Per la morte di un fratello o di un cognato si sostituiva al nastro blu che bordava le parti alte del vestiario (cipone e paletas) un nastro di colore nero.

Gli altri ricami venivano celati, utilizzando al rovescio paletas, cipone e saùciu. L’abito, al di là di segno luttuoso, era indossato al rovescio nel tempo ordinario, qualora si disponesse di un unico esemplare sia per i giorni festivi (allorché si indossava al dritto), che non.

In caso di morte del marito la moglie tingeva di nero il proprio abito, utilizzando “su truiscu” (daphne gnidium). Avvalendosi di diverse parti di questo arbusto e a seconda del periodo di raccolta e bollitura, si riusciva a ottenere la tonalità desiderata. Il rosso con questa tintura poteva scurirsi sino a diventare marrone e, infine, nero. La suocera, invece, tingeva il proprio abito utilizzando la corteccia, sempre bollita, dell’ontano (àlinu), conferendo all’abito un colore rosso scuro. Trattavasi di un segno di lutto gravissimo, inferiore solo a quello della vedova. La tonalità nera spettava solo alle mamme che perdevano l’unico figlio, o alle nubili che perdevano fratelli e sorelle, o colpite dalla morte di un congiunto, oltre che grave, verificatasi in gravi circostanze.

Nel caso delle seconde nozze di una vedova, l’uso del colore dell’abito rispondeva a una delicata operazione di diplomazia: doveva esprimere felicità per la nuova unione, ma non poteva esibire colori troppo sgargianti per non offendere il parentado (areu) del primo marito.

L’abito, perciò, era l’immediata sintesi visiva della vita della donna che lo indossava. Perciò le donne chiedevano di essere sepolte con esso, “a cara bona” (al dritto), al dritto, sì che al momento del trapasso Dio potesse riceverle con indosso il libro aperto della propria vita.

Aggiornamento

21/4/2024 - 23:06

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