Il grano separato dalla pula e ripulito nell’aia da ulteriori impurità veniva messo in sacchi e trasportato al villaggio con un cavallo (“assomare”, cioè caricare sul cavallo una “soma”, ovvero un carico di grano), oppure mediante un carro.
Dal momento che ciascuno coltivava il grano necessario alle proprie riserve familiari, non vi erano veri e propri granai. Il grano veniva ammucchiato in un angolo qualunque, dopo aver imbevuto la terra di aceto, in modo tale da tenere lontani gli insetti nocivi (specialmente il punteruolo del grano).
Secondo una credenza popolare, rilevata dal linguista Max Leopold Wagner, per tenere lontani i parassiti occorreva disporre sul mucchio del grano (oppure nel recipiente in cui si disponevano le granaglie) la falce “a picu a susu”, ovvero con la punta e i denti rivolti verso l’alto.
Le quantità più consistenti di grano si conservavano in contenitori cilindrici fatti di canne intrecciate, o, specialmente nel Campidano, con stuoie di giunco ciascuna delle quali veniva arrotolata e legata in modo tale da formare un cilindro. Questi recipienti erano denominati in area campidanese “òrrius”, “lòssia”/“lùscia”; logudorese “òrrios”.
Essendo aperti sul fondo i contenitori or ora descritti poggiavano o sulla terra ben imbevuta di aceto, oppure su una base di legno. A qualche palmo dal suolo è incisa nel contenitore un’apertura quadrangolare, che permetteva di prelevare comodamente il grano quando esso non scendeva più da solo.
Specialmente i rivenditori di Milis (Oristano), che praticavano il commercio itinerante in tutta l’Isola, vendendo queste stuoie e altri prodotti (arance e vernaccia) specie in occasione delle feste paesane e campestri. Sono certamente milesi i venditori ambulanti ritratti nell’olio su tela di Giuseppe Biasi intitolato La grande festa campestre (1910-1911) con le loro arance e stuoie intrecciate.
La conservazione del grano portato dalle aie prendeva il nome di “incùngia” (e simili) ed era accompagnato da un momento festivo di carattere conviviale, durante il quale si festeggiava il raccolto, momento culminante dell’annata agraria.
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