Sujets
Facebook
Twitter
Liendin
Whatsapp
Imprimer
E-mail
Connaissances
Voir tout
Sujets
La tenue traditionnelle des femmes implique l'utilisation d'un couvre-chef, généralement composé d'au moins deux éléments (par exemple, un mouchoir ou un châle superposé à une casquette), à la fois dans la variante festive et dans la variante typique de l'époque ordinaire. Certaines coiffes de fête ont un grand effet esthétique : par exemple sur le lionzu (bandage en soie produit sur place et teint au safran) d'Orgosolo ; la combinaison de mucarolu blanc et d'élu (mouchoir et voile blancs) dans la robe de gala de Sennori ; sait ce qui se passe (cape) lors du gala d'Osilo ; la coiffe festive complexe de Samugheo composée d'une cape composée de plusieurs des mouchoirs ; les châles olianais brodés, des motifs floraux en fil de soie polychrome et/ou des guirlandes dorées ; la somptueuse mantille Arranda 'e Prata, d'origine majorquine, brodé au fil d'argent, typique de la robe de fête de la boulangerie de Cagliari. Les tabliers sont de deux types spécifiques (voir. Desulo) et les jupes couvre-chefs (voir. Temple, Ittiri, etc.).
Les chemises de fête, auxquelles sont souvent attachés des bavoirs, des mouchoirs, des châles ou des couvre-poitrines, présentent des broderies et des plis, concentrés au niveau de l'encolure/du col et des manches.
Les corsages, fabriqués selon différentes formes et types, rigides ou non, constituent les vêtements les plus conservateurs.
Les vêtements d'extérieur (vestes, vestes, parfois équipés de manches) sont fabriqués selon de multiples solutions de formes, de textiles et de couleurs.
Les ceintures sont limitées à la tenue de fête de certains endroits, lorsque le corsage est porté sous ou par-dessus le gilet.
Les jupes, plus ou moins larges, longues au-dessus ou en dessous de la malléole, ont différentes solutions de confection : en forme de sac, frisées ou plissées, en gherons ou associées au corsage.
Les éléments constants sont la taille ajustable, la construction en tissus épais (laine, orbace ou velours). Il convient de noter la présence fréquente de rembourrages ou de jupons, visant à améliorer leur ajustement.
Les tabliers, dont la présence caractérise les vêtements populaires dans toute l'Europe, se présentent en Sardaigne sous de nombreuses variantes, attribuables pour des raisons de synthèse aux groupes suivants : en forme de panneau ; bouclés/plissés ; en forme d'éventail.
Les chaussures sont généralement sous-représentées dans les collections publiques et privées. Les sources iconographiques témoignent pour le début du XIXe siècle de chaussures basses et décolletées, pointues et parfois agrémentées de boucles en argent. À partir du milieu du XIXe siècle, les représentations, les images photographiques et les exemples survivants décrivent une variété remarquable de chaussures. Les sabots à semelles en bois, les talons bas et la tige en tissu avec une bande fermée ou ouverte au bout sont bien représentés dans les tenues de tous les jours, en particulier dans le sud de l'île, jusqu'au milieu du XXe siècle. Les chaussures de fête, parfois recouvertes de brocart, font référence à un style du XVIIIe siècle. Les chaussures à lacets, garnies de nœuds, de rosaces ou de boucles en argent, sont également récurrentes. Les différents types de bottines fabriquées dans différents matériaux ne manquent pas.
L’insieme vestimentario oggi comunemente definito tramite l’espressione “costume popolare della Sardegna” costituisce il risultato di un lunghe e complesse dinamiche di trasformazione e rifunzionalizzazione che occupano il periodo intercorrente fra il XVI secolo per concludersi alla fine del XIX secolo. I più importanti viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi (J. Fuos, W. Smith, il francese A.C. Pasquin detto Valery, A. Bresciani, ecc.) nei loro resoconti tessono le lodi, ammirati, della magnificenza degli abiti e della gioielleria dei Sardi. Alcune opere sono illustrate dallo stesso autore, come Les îles oubliées (1893) del Valery, altre corredate da tavole eseguite da disegnatori e pittori, come le litografie annesse all’Atlas del La Marmora realizzate da G. Cominotti ed E. Gonin, pubblicate per la prima volta nel 1826. Preziose dal punto di vista documentario sono ulteriori fonti iconografiche d’epoca sull’abbigliamento popolare sardo: dalle tavole della Collezione Luzzietti (databili fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), agli acquerelli di Tiole (1819-1826), alle litografie a colori di L. Baldassarre (1841), alla Galleria di costumi sardi del Dalsani (1878). Lo sguardo “dall’esterno” dei viaggiatori contribuì non poco ad ammantare l’abbigliamento tradizionale sardo di un’aura mitizzante, declinata in prospettiva antiquaria e comparata al mondo biblico o all’antichità classica. Specie i testi degli autori dell’ultimo trentennio del XIX secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) esaltano l’armonia cromatica degli abiti delle popolane e la loro bellezza «antica e fiera». Il carattere conservativo dell’abbigliamento trova riverbero nell’etica austera del popolo che lo indossa e nella postura ieratica. Nonostante l’evidente intento mitizzante, che sarà assorbito anche dagli scrittori sardi ̶̶ fra tutti il Nobel Grazia Deledda ̶̶ , tuttavia, nei resoconti dei viaggiatori è colta con estrema attenzione la funzione demarcatrice delle fogge del vestire fra un paese e l’altro. Le donne […] in Sardegna non escono di loro fogge per niuna cosa del mondo. E comechè i villaggi di Selargius, di Pauli, di Pirri, di Sestu, di Maracalagonis siano così prossimi l’uno all’altro che alcuni sentono le campane delle circostanti Pievi, tuttavia ciascun villaggio si discosta dall’altro per tal maniera, che a prim’occhio si dice: quella è donna di Quartu, quell’altra è di Sestu, di Pauli, o di Sinai: ciò non reca meraviglia a chi conosce il paese, specialmente ne’ luoghi più interni dell’isola. (A. Bresciani, 1850). Tale funzione identificatrice dell’“abito bandiera”, collante per i sentimenti di appartenenza identitaria, permane a tutt’oggi. Attualmente l’abito tradizionale non risponde più alle funzioni pratiche che soddisfaceva in passato: riscaldare il corpo nelle stagioni più rigide, scandire l’identità civile e sociale, indicare lo stato d’animo (la gioia nel cromatismo acceso dei colori e il lutto, principalmente espresso dal nero). Oggidì “il costume riproposto” si indossa limitatamente a occasioni speciali, come processioni, sagre e manifestazioni a carattere turistico. Risponde, sì, alla necessità d’individuare e portare alta la bandiera paesana o cittadina, ma è soprattutto legato alla funzione di definire un’unica identità etnica, quella sarda, pur nella variegata molteplicità delle sue appartenenze locali.
Lisez tout
L’insieme vestimentario oggi comunemente definito tramite l’espressione “costume popolare della Sardegna” costituisce il risultato di un lunghe e complesse dinamiche di trasformazione e rifunzionalizzazione che occupano il periodo intercorrente fra il XVI secolo per concludersi alla fine del XIX secolo.
I più importanti viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi (J. Fuos, W. Smith, il francese A.C. Pasquin detto Valery, A. Bresciani, ecc.) nei loro resoconti tessono le lodi, ammirati, della magnificenza degli abiti e della gioielleria dei Sardi. Alcune opere sono illustrate dallo stesso autore, come Les îles oubliées (1893) del Valery, altre corredate da tavole eseguite da disegnatori e pittori, come le litografie annesse all’Atlas del La Marmora realizzate da G. Cominotti ed E. Gonin, pubblicate per la prima volta nel 1826.
Preziose dal punto di vista documentario sono ulteriori fonti iconografiche d’epoca sull’abbigliamento popolare sardo: dalle tavole della Collezione Luzzietti (databili fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), agli acquerelli di Tiole (1819-1826), alle litografie a colori di L. Baldassarre (1841), alla Galleria di costumi sardi del Dalsani (1878).
Lo sguardo “dall’esterno” dei viaggiatori contribuì non poco ad ammantare l’abbigliamento tradizionale sardo di un’aura mitizzante, declinata in prospettiva antiquaria e comparata al mondo biblico o all’antichità classica. Specie i testi degli autori dell’ultimo trentennio del XIX secolo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) esaltano l’armonia cromatica degli abiti delle popolane e la loro bellezza «antica e fiera». Il carattere conservativo dell’abbigliamento trova riverbero nell’etica austera del popolo che lo indossa e nella postura ieratica.
Nonostante l’evidente intento mitizzante, che sarà assorbito anche dagli scrittori sardi ̶̶ fra tutti il Nobel Grazia Deledda ̶̶ , tuttavia, nei resoconti dei viaggiatori è colta con estrema attenzione la funzione demarcatrice delle fogge del vestire fra un paese e l’altro.
Le donne […] in Sardegna non escono di loro fogge per niuna cosa del mondo. E comechè i villaggi di Selargius, di Pauli, di Pirri, di Sestu, di Maracalagonis siano così prossimi l’uno all’altro che alcuni sentono le campane delle circostanti Pievi, tuttavia ciascun villaggio si discosta dall’altro per tal maniera, che a prim’occhio si dice: quella è donna di Quartu, quell’altra è di Sestu, di Pauli, o di Sinai: ciò non reca meraviglia a chi conosce il paese, specialmente ne’ luoghi più interni dell’isola. (A. Bresciani, 1850).
Tale funzione identificatrice dell’“abito bandiera”, collante per i sentimenti di appartenenza identitaria, permane a tutt’oggi. Attualmente l’abito tradizionale non risponde più alle funzioni pratiche che soddisfaceva in passato: riscaldare il corpo nelle stagioni più rigide, scandire l’identità civile e sociale, indicare lo stato d’animo (la gioia nel cromatismo acceso dei colori e il lutto, principalmente espresso dal nero). Oggidì “il costume riproposto” si indossa limitatamente a occasioni speciali, come processioni, sagre e manifestazioni a carattere turistico. Risponde, sì, alla necessità d’individuare e portare alta la bandiera paesana o cittadina, ma è soprattutto legato alla funzione di definire un’unica identità etnica, quella sarda, pur nella variegata molteplicità delle sue appartenenze locali.
commentaires