L’Epifania del Signore nelle Chiese cattolica, ortodossa (Teofania) e anglicana è una delle massime solennità dell’anno liturgico. Per i cattolici è festa di precetto. Nella tradizione sarda questa festività è denominata Sos tres res (‘I tre re’, scil. i re Magi) prevede numerose pratiche rituali.
Anche per l’Epifania, come per l’ultimo e il primo dell’anno sono attestate questue rituali. Per esempio, a Ittiri, in provincia di Sassari, i bambini si riuniscono muniti di sacchetti per andare di porta in porta a chiedere sos tres res e, di fronte a ogni casa, cantano canzoni augurali, domandando «A nonde dades?» (‘Ce ne date’?). Il dono elargito al questuante (frutta secca e talora qualche dolce) implica sempre un ritorno in termini di buona fortuna e, specialmente garantirà, pur implicitamente, al donatore il diritto di chiedere gràscias (‘grazie’). Mentre i bambini, verso l’ora di cena, una volta esaurito il giro del paese, fanno ritorno a casa, si formano gruppi di adulti che, andando di casa in casa, cantano sos tres res:
Novas novas de allegria, novas de su naschimentu, / Novas de grande cuntentu chi bos dat su Messia, / Su Messia est beru Deus naschid’in notte ’e Nadale / Un’istella orientale chi at postu in caminu lughiat. / Tres pastores chi b’aiat cando su Gesus naschesit /ei sa musica s’intendesit chi sos anghelos faghian /a cantamus sa melodia c’amus congluidu s’annu. / Bona notte e bonas pascas a cumprire / E Deus bos diat vida e mezus a un’atter’annu. A nonde dades? (‘Notizie che rallegrano / notizie della nascita del Signore / notizie di grande gioia che vi dà il Messia / il Messia è vero Dio, nato nella notte di Natale / risplendeva una stella d’oriente che ha indicato il cammino / a tre pastori che c’erano quando nacque Gesù / e si sentiva la musica che facevano gli angeli / cantiamo la melodia, poiché abbiamo concluso l’anno / buona notte e buone feste / e Dio via dia vita e fortuna per il nuovo anno: Ce ne date?’).
I questuanti vengono così invitati nelle case ad assaggiare su càbude, che a Ittiri non è un pane, ma una preparazione dolce. L’offerta alimentare è seguita dai versi di ringraziamento da parte dei destinatari del dono:
A chent’annos, sa padrona,
La godedas custa festa,
Gesus Cristus a manu dresta
Chi bos ponzat in ora ona,
A chent’annos, sa padrona
(‘A cent’anni, padrona / Possa godere questa festa / Gesù alla vostra destra / Vi dia buona fortuna / A cent’anni, padrona’).
I bambini erano destinatari di doni non solo mediante l’esercizio della questua, ma nel Capoluogo dell’Isola, a Cagliari, probabilmente per influsso di consuetudini allogene, anche direttamente da parte di Sos tres res, come documenta la testimonianza di un’informatrice cagliaritana pubblicata nel 1893 nelle pagine dell’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari»:
«L’Epifania, e particolarmente nel Campidanese, la sera della vigilia dell’Epifania, a mezzanotte in punto i Re Magi vengono, non so da quale luogo, a cavallo, carichi di giocattoli, balocchi, gingilli e dolci per bambini buoni, riserbando per i cattivi roba vecchia e brutta. Gli uni e gli altri perciò la sera, prima di andare a letto, mettono fuori, all’aperto, cestini e altri recipienti per accogliervi ciò che saranno per lasciare i desiderati Tre Re».
Al pari di tutti i momenti di passaggio dal vecchio al nuovo, il giorno dell’Epifania, rappresentando “un capo dell’anno”, è concepito nell’orizzonte folklorico come un tempo prodigioso, nel quale i morti tornano nelle loro case e la natura si carica di forze eccezionali: gli animali parlano e dalle fontane e dai fiumi al posto dell’acqua scorrono olio e vino. Come i giorni di Santa Lucia, Natale, Capodanno, San Giovanni Battista, anche quello dell’Epifania era un momento propizio per trarre auspici e per prevedere il futuro, anche attraverso alcuni cibi.
Per esempio, il giorno di Santa Lucia, vecchio solstizio d’inverno, nella Sardegna settentrionale, come riferisce il folklorista Giuseppe Ferraro, era consuetudine cuocere una focaccia (còtzula) sotto la cenere con un centesimo dentro. A ogni membro della famiglia, poi, ne veniva distribuito un pezzo, e si preconizzava che chi avesse trovato il centesimo, se celibe sarebbe convolato a nozze entro l’anno, se già sposato, invece, sarebbe morto entro lo stesso termine.
Per l’Epifania vigeva l’usanza di confezionare un dolce chiamato “dei tre re”. Si trattava di una torta nel cui impasto si mescolava una fava, un cece e un fagiolo. Ritrovarsene uno nella propria fetta equivaleva a un buon auspicio per la produzione di grano, olive e uva. A preannunciare maggior fortuna era la fava.
La consuetudine or ora descritta fa venire in mente, pur con le dovute differenze, una tradizione invalsa nel Sud della Francia, ove in occasione dell’Epifania si prepara il gâteau des rois — nel Nord il dolce corrispondente prende il nome di gallette des rois —, una sorta di brioche che nasconde al suo interno una fava, che premierà il re o la regina che la troverà. Un bambino viene messo sotto il tavolo e deve decidere a chi andrà la parte di torta appena tagliata. Chi avrà la porzione contenente la fava diventerà re per tutto l’anno e gli verrà apposta una corona in testa. L’usanza, presente anche in Portogallo, ove il dolce si chiama Bolo rei, ha origine dalle feste della Roma antica destinate a celebrare Saturno e l’età dell’oro.
(Immagine di copertina Complesso archeologico di S. Andrea Priu "Adorazione dei Re Magi", Fotografia di Marcello Canu - 2017)
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Testi
Autore : Liguori, Alfonso Maria : de' <santo>
Anno : 1820
Autore : Settimana liturgica nazionale <53. ; 2002
Anno : 2003
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