Subito dopo la vendemmia si prepara la sapa o vincotto, il più arcaico dei dolcificanti della tradizione sarda (assieme al miele). Si ottiene attraverso la cottura del mosto non ancora fermentato, insaporito dalle note aromatiche delle spezie, fra le quali spicca soprattutto la scorza d’arancia.
Integrando la sapa all’impasto del pane, se ne ottiene un pane “condito”, sconfinante nell’ambito del dolce, che può essere ulteriormente arricchito dalla frutta secca. A volte, alla sapa può essere aggiunta anche una piccola quantità di miele.
Su fatu e cotu (lett. ‘fatto e cotto’, scil. impastato e messo in forno), grazie all’impiego del lievito chimico, è di ben più rapida preparazione rispetto alla ricetta caratterizzata dai tempi lunghi richiesti dalla lievitazione naturale.
Spesso su pane ’e saba assume la valenza di pane cerimoniale. Nell’orizzonte tradizionale l’occasione della sua preparazione coincideva per lo più con le festività autunnali (Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti) e invernali (Natale, ecc.). Spesso assumeva, inoltre, la funzione di alimento votivo in onore di santi patroni e martiri. Ancora oggi, ad esempio, a Quartu Sant’Elena vengono posizionati quattro grossi pani ’e saba finemente decorati con s’indoru (foglia d’oro per uso alimentare) ai piedi della statua della patrona Sant’Elena portata in processione su un carro a buoi, in occasione della festività liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre).
Ad Atzara è tradizione confezionare il pane sapato per la festa del patrono Sant’Antioco Martire (13 novembre), in passato la festa più importante di tutto l’anno. In quest’occasione accorrevano nel borgo del Mandrolisai non solo numerosi forestieri, ai quali era garantito vitto e alloggio dalla popolazione locale, ma anche i più bisognosi provenienti dai paesi vicini, ai quali era destinata come elemosina una tipologia di pane ’e sapa detta prana, liscia, in contrapposizione a quella froria (decorata), ricoperta di mandorle sgusciate.
A Sini, paese della Marmilla, ancora oggi si prepara su pani ’e saba per donarlo al San Giorgio. Modalità dell’offerta votiva è l’impiego del denaro ricavato dalla vendita del pane dolcificato ai fini della manutenzione della chiesetta campestre intitolata al santo megalomartire.
La sapa era anche un segno di distinzione sociale. Se la varietà più pregiata era quella d’uva o di fichi, appannaggio dei più poveri era quella ricavata dai frutti selvatici, come il fico d’India o il corbezzolo. Un tempo segno di povertà, la sapa di fico d’India oggi è caratterizzata dalle attribuzioni di prodotto locale di nicchia per i turisti gastronomici e culturali, come quelli che ogni anno partecipano alla sagra del fico d’India a Dualchi, paese del Marghine.
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Autore : Brotzu Renato
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