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Su càbude

Su càbude

Su càbude

Tra i pani cerimoniali di Capodanno in area logudorese c’è su càbude (dal lat. caput), descritto a volte come una grossa focaccia di semola o fior di farina, di forma ovale o piatta, su cui venivano praticati tagli tali da farle assumere la forma di un uomo con cappello carabiniere e coda di frac.  La circonferenza era ritagliata a guisa di pizzo e l’interno decorato con tagli e timbrature ottenute, per impressione, col bottone sardo e con l’applicazione opzionale di figure modellate con la medesima pasta del pane.

Su càbude veniva preparato nelle famiglie dei pastori in occasione Capodanno (in quelle aventi una diversa specializzazione professionale non di rado per l’Epifania) e se ne riservava uno per ciascun maschio della famiglia. Le dimensioni erano proporzionali all’età del destinatario.

Durante il pranzo di Capodanno o dell’Epifania, era su càbude del capofamiglia ad essere spezzato sulla testa del figlio maschio più piccolo e lo si distribuiva con formule augurali.

A Thiesi, in provincia di Sassari, il suddetto pane rituale, preparato per la medesima emergenza festiva del ciclo dell’anno, veniva spezzato sul capo del figlio maschio. La decorazione, ottenuta con un coltellino, era detta s’ispiga, ossia ‘la spiga’, simbolo augurante per antonomasia.

Per le figlie si confezionava un pane del tutto simile, ma di foggia rotonda, chiamato afesta.

 

Se su càbude di area logudorese ci viene descritto soprattutto come un pane di fior di farina o semola (fra le prime testimonianze il folklorista Giuseppe Ferraro nel 1894), va detto che in alcuni centri della provincia di Sassari (Bonnannaro, Ittiri, Ittireddu, Nughedu San Nicolò, Ozieri) è documentato come dolce farcito di pistiddu (sapa condensata per cottura e con l’aggiunta di semola e aromi). A Ozieri il capofamiglia spezzava il dolce sul capo del figlio più piccolo (in altri paesi, invece, sul capo del primogenito), recitando per tre volte la formula «Su bene a mizas!» ‘I beni, la prosperità a migliaia!’.

A Ittiri la preparazione stessa di su càbude era concepita come un rituale, durante il quale «si adottavano tutte le precauzioni per evitare la rottura, fatto questo che avrebbe angosciato la padrona di casa, interpretandolo come un cattivo presagio. Il dolce più grande e importante doveva essere spezzato sulla testa del figlio più piccolo, avendo cura di far cadere le briciole sul braciere. Nel compiere tale operazione il capo famiglia recitava una frase augurale: «Cantas renzas ruen in su fogu, apemus annos de bona fortuna!» (‘Quante briciole cadono nel fuoco, possiamo avere altrettanti anni di buona fortuna!’). Tra le formule augurali pronunciate in concomitanza della consumazione, la più ricorrente era: «A chent’annos a nde fagher càbudes mannos!» (‘A poterne fare fino a cent’anni di càbudes grandi!’).

 

 

Aggiornamento

5/1/2025 - 01:04

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