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Centenario della Costruzione della Diga di Santa Chiara: 28 aprile 1924 - 28 aprile 2024

Centenario della Costruzione della Diga di Santa Chiara: 28 aprile 1924 - 28 aprile 2024

Filippo Figari, Il Tirso (1926-27)
Olio su tela
Cagliari, Enel


« La ricostruzione della Sardegna, anche astraendo da ogni sentimento di dovere verso quel popolo che tutto ha dato alla Patria senza nulla ricevere; sarà per lo Stato e per la Nazione un GRANDE AFFARE.
In nessuna regione d'Italia è così forte, come per la Sardegna, la differenza fra le condizioni attuali della produzione e quelle che si possono, facilmente, raggiungere. Ma per rompere il cerchio chiuso di cause ed effetti distruttori che si generano vicendevolmente, non possono bastare le forze dei singoli; ma occorre la azione direttiva e coordinatrice dello Stato.
Ripristinare i fiumi, e ricostruire quanto è stato distrutto!
Il resto verrà da sé, senza alcun ausilio ulteriore: Le energie locali si svilupperanno per necessità intrinseche, altre ne accorreranno richiamate dalle ricchezze naturali alla fine redente.
E la Sardegna risorta potrà gareggiare colle più fortunate regioni d'Italia!».


Così l’ingegnere Angelo Omodeo, un anno prima dell’inaugurazione della Diga di Santa Chiara, da lui progettata, scriveva a proposito della Sardegna all’interno dell’opera Nuovi orizzonti dell’idraulica italiana. L’opera idraulica, di dimensioni della diga (lunga 270 metri e alta 70), per l’epoca ciclopiche, si inquadrava a pieno titolo nel tentativo, di portata nazionale, di far fronte a piaghe proprie della Questione meridionale, quali l’annosa siccità, con la conseguente necessità d’irrigare i campi coltivati, l’esigenza di energia (in questo caso idroelettrica) per far fronte ai bisogni sempre più impellenti del settore industriale, la necessità di bonificare le aree malariche, ecc. Pietro Casu, una delle figure maggiormente significative del panorama della cultura sarda della prima metà del Novecento, sacerdote, apprezzato predicatore in lingua sarda, autore di un poderoso “Vocabolario sardo logudorese – italiano”, nonché di romanzi e novelle in lingua sarda, diede alle stampe nel 1922 il romanzo “Aurora sarda”, la trama del quale è incentrata proprio sulle dinamiche innescate dalla costruzione della diga di Santa Chiara. Fulcro della narrazione è il tema dell’espropriazione di abitazioni e terreni appartenenti agli abitanti di Zuri, paese sito nella regione storica del Barigadu, che, come è noto fu sommerso dal lago Omodeo, originato dalla diga. Venne ricostruito a monte insieme alla chiesa di San Pietro di Zuri, la quale fu sottoposta a un vero e proprio processo di anastilosi: spostamento concio per concio e ricostruzione dell’intero edificio religioso. La chiesa in questione deve la sua importanza alla presenza di un’iscrizione che, oltre a farne risalire con certezza la costruzione al 1291, precisa l’identità tanto della committenza (nella persona della badessa Sardigna de Lacon, verosimilmente legata da rapporti di affinità al casato degli judikes di Arborea), quanto dell’architetto nel maestro Anselmo da Como. Tra le figure in rilievo sul portale, oltre a San Pietro con le chiavi, compare una figura in abito monacale, prostrata, verosimilmente identificabile con la suddetta badessa Sardigna de Lacon. L’edificio religioso è noto, inoltre, per un interessante motivo decorativo in rilievo, che si trova nel capitello compreso tra il fianco destro e il muro dell'abside, da molti interpretato come la più antica rappresentazione di ballo sardo. L’aurora evocata nel titolo del romanzo di Pietro Casu, dal punto di vista metaforico, alludeva al risveglio della Sardegna, con il superamento di ataviche piaghe, quali l’arretratezza economica, l’ideologia della vendetta origine di faide interminabili descritte nel romanzo dello stesso autore intitolato “Notte sarda” (1910).  Nell’ideologia del Casu la notte, col suo buio, costituiva il simbolo del passato scalzato dalla luce aurorale di una Sardegna in crescita sotto il profilo etico ed economico, all’insegna del progresso. L’espropriazione dei terreni, lo spostamento da valle a monte del paese e della chiesa non fu indolore per gli abitanti di Zuri, specie dai più anziani, quale il protagonista Innasassiu Ligas, arroccato nella tradizione e avverso alle modifiche apportate di necessità dal progresso. In un passo del romanzo Aurora sarda tale presa di posizione è condivisa da un nutrito numero di abitanti del piccolo centro  in provincia di Oristano.

«La mattina dopo il villaggetto di Zuri era tutto in agitazione, perché da un momento all’altro si attendeva la visita di Monsignor Dentucci, che verrebbe a nome della società “Tirso” per dire una buona parola ai suoi terrazzani intorno all’increscioso affare della cessione delle terre e della riedificazione della chiesa e delle case. Quasi tutti gli uomini del popolato erano sulla piazzetta, dinanzi alla stupenda parrocchia dedicata a San Pietro, splendido monumento d’arte pisana,  che non si sa come fosse andato a cadere in quella plaga, in mezzo a tanta desolata solitudine. […] L’aspetto del paesello era certo molto triste, specialmente in quella stagione afosa, che aveva disseccato tutto all’intorno è […]. Situato a poca distanza dal fiume Tirso , che inondava le terre e in estate  si ristagnava in pozze  […], focolare tremendo di malaria […]. Eppure quei semplici valligiani, per quanto consunti dal male, erano tenacemente attaccati alla loro terra, a quelle squallide tane, e specialmente alla loro chiesa monumentale, la più bella della contrada; e per quanto da prima  avessero accettato a gran maggioranza le proposte degli impresari del bacino  […], in sèguito […] s’erano intestati nel rifiuto e non udivano alcuna buona ragione».

Nonostante ciò, la diga fu edificata.  L’inaugurazione della maestosa costruzione  rettilinea, ad archi multipli, poggiante quasi completamente su un bancone compatto di trachite, si tenne il 28 aprile del 1924 alla presenza del re d’Italia, Vittorio Emanuele III. Numerosi furono gli interventi celebrativi dell’opera d’ingegneria idraulica.  Il pittore Filippo Figari (Cagliari, 23 settembre 1885 – Roma, 30 ottobre 1973) realizzò una serie di dipinti per la sala del Consiglio d’Amministrazione della Società “Tirso”. L’opera  consisteva nella rappresentazione, chiusa entro cornici rococò, delle allegorie dei fiumi che hanno dato origine ai bacini della Sardegna: il Flumendosa (l’agricoltura), il Coghinas (l’industria), il Tirso (l’opera degli sbarramenti). Il Tirso, che qui ci interessa in maniera particolare, è rappresentato come un gigante dalle forme massicce e possenti, quasi una divinità acquatica. È adagiato sulla diga di Santa Chiara, di cui di riconoscono le arcate, mentre abbraccia una cornucopia, simbolo dell’abbondanza garantita dalla maestosa opera progettata dall’ingegner Omodeo, dal quale mutuò il nume il lago artificiale originato dallo sbarramento.