Il definitivo passaggio della Sardegna ai Savoia nel 1718 non segna un'interruzione delle fabbriche in corso, contrassegnate dall'adesione al linguaggio tardobarocco, destinato a perdurare sino alla fine del secolo in una serie di chiese che coniugano elementi di tradizione locale con modi del manierismo cinquecentesco e del barocco seicentesco.
Dal 1720 il governo sabaudo invia in Sardegna validi ingegneri militari, dapprima per rafforzare le fortificazioni e ammodernare ponti e strade, i quali poi si interessano anche di restaurare antichi edifici e di progettarne di nuovi. Per il loro tramite la cultura isolana si italianizza aderendo ai modi tardobarocchi ligure-piemontesi.
Questi vengono diffusi anche con l'importazione di statue e arredi marmorei (altari, paliotti, pulpiti, balaustre, fonti battesimali), di pregevoli manufatti d'argento e preziosi tessuti.
L'allineamento alle mode degli ambienti artistici italiani si intensifica nell'Ottocento con l'opera di alcuni architetti nativi dell'isola ma formatisi a Torino, al corrente delle forme neoclassiche che andavano diffondendosi in Europa. Vengono costruite chiese la cui sintassi architettonica rivela la piena adesione al linguaggio classicista.
Anche il panorama dell'edilizia civile riflette i vari orientamenti delle mode culturali del tempo, mentre le sempre incombenti necessità di difesa dei centri costieri spingono la monarchia sabauda a una politica di ripopolamento delle isole lungo la costa sudoccidentale sarda, che annovera fra i suoi risultati la pianificazione urbanistica di Calasetta e Carloforte.
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