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Carnevale di Oniferi

Carnevale di Oniferi

Carnevale di Oniferi

Le celebrazioni del Carnevale a Oniferi hanno inizio il 16 gennaio, in occasione della festa di Sant'Antonio. Nei rioni del paese vengono accesi falò in onore del Santo mentre in piazza si svolgono i balli tradizionali.
Protagonisti del carnevale oniferese sono "sos Maimones" maschere tipiche che hanno il viso annerito con la fuliggine ricavata dal sughero bruciato. Durante il XX secolo la maschera ha assunto un carattere goliardico, pertanto si incontrano anche Maimones con il volto solo parzialmente dipinto.
Momento particolarmente suggestivo è la vestizione di "sos Maimones" che si svolge all'interno dell'antica capanna utilizzata dai pastori (su pinnetu), costruita in pietra con il tetto di frasche.
Dopo la benedizione del fuoco e l'accensione dei falò, le maschere fanno il giro del paese portando in groppa ad un asino un fantoccio antropomorfo, a rappresentare l'uomo che fatica nei campi, il cui viso è costituito da una foglia di fico d'india fissata su una damigiana o in un contenitore metallico per il trasporto del latte (sa lama'e su latte), entrambi ricoperti da un mantello d'orbace (su saccu). Spesso anche l'asino viene mascherato con corna di diverse dimensioni.
La maschera di su Maimone gira di casa in casa accettando le offerte e caricando bisacce in orbace (sas bertulas) di dolci carnascialeschi che, insieme al vino versato nella damigiana raffigurante il fantoccio Maimone, servirà per la festa.
Il Carnevale oniferese è caratterizzato dalla messa in scena, per le vie del paese, di una serie di situazioni della vita reale: le difficoltà, la sofferenza e la morte sono interpretate da sos Maimones ridicolizzandole al fine di scongiurarle. Tra le situazioni rappresentate si possono citare "sa parthi burra" (divisione della coperta matrimoniale attraverso la rappresentazione di una sorta di separazione coniugale in cui, inscenando uno scandalo per strada, si divide, per l'appunto, il misero avere in orbace); "s'ammuttu" (tradizionale canto per il morto eseguito dalle prefiche e per l'occasione reso burlesco dalle maschere che piangono il compagno morto a causa di una forte bevuta e successivamente risorto grazie a un ulteriore bicchiere di vino) e "sa ilonzana" (donna che fila la lana).
Ancora con l'estrazione di "sos bullettes de sa fortuna" (biglietti contenuti in una giara di sughero o legno) si dà vita ad una lotteria che, con intento burlesco, a seconda della vena poetica del momento, augura ogni tipo di futuro.

Le maschere
Sos Maimones: la figura maschile indossa l'abito tipico del pastore sardo in velluto scuro con camicia bianca senza colletto, scarponi in pelle (cambales) e un cappello in velluto (su bonette), tradizionalmente portato pendente a lato della fronte. Completano l'abbigliamento altri capi, sempre tipici della cultura agro–pastorale: mantella con cappuccio in orbace (su saccu'e fresi o furesi), pesante pastrano in orbace (su gabbanu) o in alternativa pelli di montone o agnello lavorate con o senza pelo (sas peddas). La figura femminile, impersonata da soggetti maschili, integra l'abbigliamento con piccola mantella in orbace priva di cappuccio (su freseddu), gonne e fazzoletto nero (su muccadore nigheddu) che viene legato sul tipico berretto.

Storia
La maschera tipica di Su Maimone, scomparsa alla fine degli anni '50 del Novecento, è stata recuperata di recente grazie alla tradizione orale tramandata dagli anziani del paese e all'apporto di alcuni studi.
Il termine Maimone deriverebbe dal greco mainomai (sono posseduto) e più in particolare dall'epiteto del dio Dioniso, Mainoles, il pazzo, il furioso. Viene impiegato, assieme al termine Mamuthone, che presenta la stessa radice, in diversi paesi della Barbagia proprio per indicare le maschere che, rifacendosi al culto dionisiaco, impersonano i seguaci del dio o il dio stesso, simbolo di ebbrezza ed estasi.

Aggiornamento

5/2/2024 - 13:38

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