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Il calendario della vita e dell'anno

Il calendario della vita e dell'anno

Il calendario della vita e dell'anno

Le feste scandiscono, tuttora in Sardegna, la vita dell'individuo dalla nascita alla morte.
Infatti le principali emergenze individuali e familiari, condivise collegialmente e socialmente attraverso la festa, sono i riferimenti temporali della vita della persona e della famiglia: "s'annu de sa leva de sos de su baranta" = l'anno di leva di quelli nati nel 1940; "s'annu de s'isposonzu de fulanu" = l'anno del matrimonio di...; "s'annu de s'oberaria de Santu Subistianu de Bachis M." = l'anno del priorato di San Sebastiano di Bachisio M.; "s'annu de su pastinonzu de sa inza de fulanu" l'anno in cui venne impiantata la vigna di...

Le feste scandiscono anche la vita della collettività attraverso il ciclo calendariale dell'anno. Chiunque abbia frequentazione di cose sarde avrà notato l'asimmetria fra calendario liturgico e calendario sardo. Nel senso che nel contenitore dell'ordine cristiano dell'anno persistono feste e modalità di celebrarle che rimandano a contesti di riferimento che non si esauriscono nelle ricorrenze cattolico-cristiane. Di più: spesso le medesime feste sono celebrate in giorni e periodi diversi, con denominazioni e modi di svolgimento che variano da paese a paese.

Così, la festa invernale per eccellenza, il carnevale - che non a caso in molti paesi della Sardegna inizia coi fuochi in onore di Sant'Antonio abate, quasi a ricordare (insieme ai fuochi che si accendono due giorni dopo in onore di San Sebastiano) la festa della luce, di remota memoria -, ha una varietà impressionante di appellativi ("Carrasegare" per lo più in area di lingua logudorese; "Carnovali" per lo più in area di lingua campidanese; "Carrasciali" soprattutto nella Gallura; "Se-garri-bèttsa" a Sant'Antioco; "Segare e pezza" o "Segara pezza" o "Segarepezza" nel Sarrabus e nel Campidano; "Karra-bèttsa" a Villaputzu; "Giolzi" a Bosa, nel Meilogu, e parte della Gallura; "Coli-coli" a Tiana e in qualche paese della Barbagia; "Maimone" in alcune zone dell'Ogliastra.

Esso ha anche una varietà di tempi e modi di festeggiarlo: oltre all'esordio per Sant'Antonio abate nella maggior parte dei paesi, in alcuni il Carnevale inizia il 2 febbraio, giorno della Candelora - anche in questo caso, forse, a significare le feste precristiane della fine dell'inverno e dell'arrivo della luce, ma anche a ricordare, forse, la purificazione di luce che significativamente trovava riscontro in Sardegna nel rito denominato "s'incresiare" (letteralmente: inchiesare): acculturazione cristiana di una vecchia tradizione ebraica secondo cui la prima uscita delle mamme, dopo il parto, obbligava a recarsi in chiesa (nel tempio, per gli Ebrei) per purificarsi.

Ancora: in diversi paesi della Sardegna il Carnevale non finisce il martedì grasso, ma il mercoledì delle ceneri (Aidomaggiore, Olzai, Ovodda) oppure il sabato (Aggius, Badesi, Trinità d'Agultu, Viddalba e Vignola, Gadoni).

Multiformi risultano essere i modi di mascherarsi (con il costume tradizionale, da "Bestios, Buttudos, Carraios, Maimones, Mamutones, Mamuzzones, Merdules, Mascheras malas, Mascari brutti, Mascheras a lenzolu, Tintinnos e Traveris"). Soprattutto molto vari sono i modi di organizzare e vivere il Carnevale, tanto da poter dire che ogni comunità paesana ha un proprio Carnevale. Paradossalmente potrebbe dirsi che, in questa grande varietà di singolarismi carnevaleschi, i Carnevali più scontati siano quelli reclamati come unici ed esclusivi: dalla Sartiglia di Oristano, di chiara importazione iberica, ai Mamuthones di Mamoiada, che trovano analogia nei mascheramenti con visiera lignea della Grecia, dell'area alpina e della Germania.


Le maschere del carnevale barbaricino

Aggiornamento

4/9/2023 - 18:37

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