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La panattara di Cagliari. Storia di un mestiere scomparso e di un abito di gala

La panattara di Cagliari. Storia di un mestiere scomparso e di un abito di gala
Alla denominazione italiana panattara (dotata del suffisso -aro/ara, presente in termini designanti altre categorie di mestiere: casaro/-ara, ecc.) corrisponde il sardo panetera riferita alle donne che facevano il pane e lo vendevano, per lo più sull’uscio di casa.Lo studioso Efisio Marcialis (1862-1933), nelle sue opere di carattere linguistico, colloca nel quartiere di Villanova Via delle panattare (S’arruga ’e is paneteras). L’associazione fra il suddetto quartiere di Cagliari e il mestiere delle panattare ricorre anche in una delle cromolitografie di Luciano Baldassarre contenuta nell’opera Cenni sulla Sardegna: illustrati da intitolata 60 litografie in colore (1841).Non stupisce, dunque, che il “Gruppo Folklorico di Cagliari. Quartiere di Villanova”, fondato nel 1976, esibisca fra gli abiti femminili maggiormente rappresentati quello di gala della panattara. Altro sobborgo cagliaritano popolato dalle panattare era quello di Sant’Avendrace.  Nelle cartoline d’inizio Novecento troviamo la figura della panattara associata a quella del pescatore, giacché non era infrequente nel sobborgo di Sant’Avendrace, affacciato sulla laguna, che le coppie di coniugi fossero costituite da un pescatore e da una panetera, che in quella via aveva il proprio forno e svolgeva il suo lavoro.L’abito di gala di questa categoria di mestiere è particolarmente ricco. Veniva inaugurato per le nozze e, successivamente, indossato nelle più importanti occasioni festive. L’elemento più sontuoso di questo insieme vestimentario di gala è un manto (mantiglia) da testa in panno rosso molto ampio, internamente bordato da un’ampia fascia di raso di seta azzurra. Ma il dettaglio di maggior impatto estetico è “s’arranda ’e prata”: un insieme di splendide decorazioni in trina d’argento lavorata a fuselli, che adornano il perimetro esterno di questo pregiato capo di abbigliamento e che trovano riscontro nei motivi a ventaglio delle mantillas di alcuni abiti di gala maiorchini.Sa mantiglia arranda ’e prata è apposta su una cuffia nera a sacco (scòfia) in filo di cotone, di chiara ascendenza spagnola, lavorata a cinque ferri secondo la tecnica a pibionis (a grani).Ulteriore caratteristica della cuffia è un nastro di seta nera, che avvolge la fronte, le estremità del quale si annodano dietro la nuca.Alla camicia è sovrapposto un giacchino nero in raso di seta (giponi), sagomato e allacciato sul davanti con un nastrino nero. Incrociati sul petto, a coprire completamente camicia e gipponi, sono i lembi del fazzoletto copriseno di forma triangolare (sa perra  de arranda), in tulle ricamato come  il grembiule (deventali).  La gonna è in raso di seta azzurro, ampia, a campana e lunghissima sino a coprire i piedi (donde il nome di guardapei).Il corredo di gioielli previsti da questo sontuoso insieme vestimentario documentato da ritratti, cartoline e fotografie d’epoca è  dato innanzitutto da un rosario in argento dalla ricca appendice di reliqiuari. Immancabili gli orecchini, generalmente in oro, spesso del modello della varietà detta “a mura”, dall’elemento pendente, fatto di perle scaramazze aggregate, simile a una mora. Quanto alle collane, poteva essere indossata una collana a grossi vaghi d’oro (sa cannaca), sola o in associazione a una catena a più giri (giunchìgliu o ghetau). Al fazzoletto copriseno erano appuntate alcune (bròscias). Le fotografie e le raffigurazioni di fine Ottocento presentano, quale dato confermato dalla ricerca etnografica, su dòminu, un pendente in lamina d’oro e perle scaramazze, recante al centro un profilo femminile, che rappresentava, sul piano simbolico, il potere della padrona di casa.Giovanni Marghinotti, il più importante pittore di epoca romantica in Sardegna, nell’olio su tela intitolato La panattara di Cagliari o La borghigiana di Cagliari (1842), ritrae una giovane donna nell’atto di abbigliarsi per le nozze con l’insieme di gala descritto in precedenza.Non indossa ancora la mantiglia rossa ad arranda ’e prata, che, tuttavia, ben si distingue ripiegata sul parapetto alla quale la giovane donna si appoggia. Si riconoscono sullo sfondo rosso del copricapo le splendide decorazioni in filo d’argento. Soltanto la cuffia le raccoglie i capelli, lasciando intravedere la scriminatura (sebbene quest’ultima, nell’uso effettivo, dovesse risultare nascosta). La donna ritratta indossa tutti gli elementi dell’insieme festivo, inclusi i gioielli. I monili indossati dal soggetto muliebre in primo piano sono orecchini in oro e pietre scaramazze (nel dipinto si riconosce il modello si is arrecadas a pàlia, orecchini a forma di pala, ancorché gli orecchini cagliaritani più tipici e più ricorrenti, quantunque non esclusivi, di questo sistema vestimentario di gala fossero is arrecadas a mura),  una coppia di bottoni in filigrana d’oro, a chiudere le maniche del giubbetto, una spilla in filigrana e lamina d’oro, pietre scaramazze e pasta vitrea rossa a forma di margherita appuntata al petto. Alla sinistra della soggetto iconografico è poggiata, pronta per essere indossata, una cannaca (‘collana’) con grossi vaghi, costituiti da due sottili calotte semisferiche saldate fra loro einfilati in un nastro da legare dietro il collo. Alle dita, la giovane, porta anelli, dei quali, in ragione delle dimensioni minute, non è possibile cogliere i dettagli più precisi.