Das wöchentliche Backen beinhaltete das Verpacken von Broten, gewürzt mit frischen Zutaten der Saison, wie Gartenprodukten: Zucchini, Kartoffeln, Zwiebeln, Tomaten usw. Charakteristisch für Ogliastra ist Weizenmehlbrot, angereichert mit Salzkartoffeln (Modhitzosu de patata, cocoi prena usw.). Nicht selten war die Verwendung von Kartoffeln ein Mittel, um einen homogeneren und kompakteren Teig zu erhalten
.Eine andere Art von gewürztem Brot war das Brot, bei dem der Teig knisternde Schweineschmalz enthielt (Brot (er) mit Gerd/Gherda), das speziell anlässlich der Schlachtung des Schweins im Spätherbst oder Frühwinter verpackt wurde.
Andere mögliche Gewürze waren: Ricotta, Käse, Öl. Nach der Ernte der Oliven konnten kleine Olivenstücke in den Teig integriert werden. Zusätzliche Zutaten wie Mandeln, Rosinen, Sapa, Honig, Safran usw., die auf verschiedene Weise behandelt wurden, fanden sich häufig in zeremoniellen Broten und Votivbroten. In den meisten Fällen waren mit Honig und Sapa gesüßte Brote, gerade weil es sich um Votivbrote (für Heiligenfeste) handelte, sehr dekoriert und hier wurden sie in dem Abschnitt beschrieben, der den zeremoniellen Broten gewidmet war, obwohl sie vor allem mit Sapa (unfermentierter Most, gekocht mit Aromen) gewürzt waren, unmittelbar nach der Ernte üblich waren, als Sapa als Süßungsmittel für Brot und andere Desserts erhältlich war, besonders im Herbst
.Während des wöchentlichen Backens wurden, wenn Kinder im Haus waren, speziell für sie entworfenes Brot gebacken. Befanden sich die Kinder in der Zahnungsphase, wurden kleine Dentarolbrote aus ungesäuertem Teig hergestellt, um die mit dieser Erkrankung verbundenen Zahnfleischbeschwerden zu lindern. Für ältere Kinder wurden dagegen echte essbare Spielzeuge hergestellt. Für Jungen wurden zoomorphe Formen gewählt, für Mädchen Puppen, Geldbörsen, Ketten usw. Anlässlich des Osterfestes wurden diese Spielzeugbrote durch die Integration des ganzen Eies, das zusammen mit Brot gekocht wurde, zu zeremoniellen Broten gemacht, die einen bestimmten Feiertag im Kalenderzyklus markieren sollten, dessen symbolische Werte mit der Anwesenheit des Eies verbunden sind (Symbol der Wiedergeburt in Verbindung mit der Auferstehung Jesu und dem Aufblühen der Natur im Frühling).
Il pane nella tradizione sarda non era solo il cibo per antonomasia Chie at pane / mai non morit (‘Chi ha pane / non muore mai’), ma era un simbolo culturale in grado di dare ordine al tempo. Esistevano veri e propri “pani-calendario”: come, ad esempio, in area campidanese su pane ’e sa gida (il pane della settimana), consistente in sette bamboline inserite in sequenza in un filo a rappresentare i sette giorni intercorrenti fra una panificazione e l’altra. C’era, poi, sa pipia ’e Carèsima: un pane avente la foggia di una bambolina dotata di sette gambette, quante le settimane della Quaresima. Ogni settimana veniva staccata una gambetta, per misurare il tempo mancante alla Pasqua. Ma, al di là di questi pani calendariali, la società affidava alle donne il compito di dare ordine al tempo attraverso il pane, distinguendo il tempo festivo, rispetto a quello ordinario, attraverso la bellezza dei pani cerimoniali. Questi ultimi, frorius o pintaus, ossia decorati, costituivano, come sottolineato dall’antropologo A.M. Cirese, per numero e complessità di varianti, esemplari di «arte plastica effimera». Con quest’ultima espressione si definisce, data la complessità e pregevolezza delle forme ottenute, una forma di arte, modellata plasticamente, realizzata in materiale deperibile (l’impasto del pane) e per questo effimero. Le emergenze festive scandite dai pani cerimoniali accompagnavano i momenti salienti del ciclo della vita e del ciclo dell’anno. Nella gran parte dei casi i pani che scandivano i momenti lieti del ciclo della vita erano ricchissimi ˗ fino a rasentare l’horror vacui ˗ di motivi floreali, vegetali, che, per una forma di “magia simpatica” (in virtù della quale il simile attrae il simile), costituivano un augurio di abbondanza e prosperità. Talora la funzione estetica e simbolica era talmente soverchiante da scalzare quella alimentare. Alcuni pani, dunque, non erano destinati alla fruizione alimentare, ma solo a quella visiva. È il caso di su crispesu, pane nuziale realizzato a Orroli, paese del Sarcidano, che veniva esibito a mo’ di soprammobile. Un discorso analogo concerne i pani del ciclo dell’anno. I pani votivi destinati a San Marco evangelista realizzati a Lei, Bortigali, Macomer e Silanus, p. es., sono un tripudio di elementi fitomorfi e colombelle; vera e propria propiziazione del rigoglio lussureggiante della natura. Nel caso di numerosi pani cerimoniali la presenza dell’elemento dolcificante segna una liminarità fra l’ambito del pane e quello del dolce. I tipi di dolcificanti più arcaici sono la sapa e il miele. Su pani ’e sapa a s’antiga a Quartu Sant’Elena è un semplice pane al cui impasto viene aggiunta la sapa. Nella versione froria il pane prevede una serie di apporti volti a implementare il pregio estetico dell’alimento, per esempio la lucidatura della superficie con un batuffolo di cotone imbevuto di sapa, e/o l’applicazione di indoru (foglia d’oro per uso alimentare) e tragera, oppure l’uso decorativo della frutta secca, come le mandorle intere nel pane sapato di Atzara. Sos cocones chin mele son pani rituali realizzati in occasione della festività di Sant’Antonio Abate. Sì da poter essere “degno” di segnalare la festa del Santo, il pane in questione non è solo modellato in forme complesse, ma ulteriormente “potenziato” con l’aggiunta del miele e dello zafferano, che ne determina la tipica colorazione gialla. A volte il pane cerimoniale evocava plasticamente aspetti della realtà, come su Cabuànnu, un pane che a Noragugume veniva donato dai ricchi proprietari ai propri lavoranti, pastori e contadini, in occasione del Capodanno. Su una base rotonda venivano modellate tridimensinalmente e collocate figure e ambientazioni tipiche, rispettivamente del mondo pastorale e di quello contadino. Fortemente simbolici erano i pani del tempo quaresimale. Si pensi a quelli riproducenti gli strumenti della Passione di Cristo: la corona di spine, la croce, i chiodi, la scala, ecc. Ulteriore pane caratteristico di questo stesso frangente del ciclo dell’anno, era su Lazzaru, pane antropomorfo riproducente il personaggio evangelico di Lazzaro. Raffigurato come morto, avvolto dalle bende, talora aggredito dai vermi della decomposizione, è il segno della morte, passaggio necessario al fine della Resurrezione pasquale. Il pane caratteristico del tempo di Pasqua è quello inclusivo dell’uovo, cotto intero assieme al pane, simbolo di vita e rigenerazione. Questa tipologia di pane è denominata cocoi cun s’ou (e sim.) o anguli (e sim.); termine, quest’ultimo, di origine bizantina, come dimostrato dagli studi linguistici.
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